Io chi sono?
Apologia della filosofia. Sì, alla fine, i miei articoli sono sempre un’agguerrita difesa della filosofia, intesa come un’apertura mentale che permette di scorgere una realtà parallela alla mera dimensione empirica. Una capacità di astrarre ed estrarre dal mondo fenomenologico, cercando di trascendere una realtà terrena che ha intrinseche e profonde radici escatologiche. Ricercare queste radici significa immettersi su una strada, un percorso impervio che, come un brumoso e brullo sentiero di montagna, conduce alla vetta. Questa cima è la conoscenza. Una condizione di estasi che l’uomo, pavido per natura, non solo non ha il coraggio di raggiungere, ma non ha nemmeno la capacità di sfiorare. A mio parere, la ricerca della verità è parte integrante della deontologia umana. La vita non può limitarsi a una passiva accettazione dell’essere in quanto tale, ma deve aprirsi a una visione meno frivola e banale, più dedita a un'attenta osservazione con finalità gnoseologiche. Si rompe l’idiosincrasia tra anima e carne e si raggiunge la tangenza con l’intima consapevolezza di essere. Ci si emancipa “dall’incubo delle passioni” e ci si eleva “al di sopra del bene e del male”. Si sfugge alla vacuità, all’eterno dissolversi delle temporanee cose terrene, prive di sostanza, e si raggiunge una condizione di purezza primordiale. Badate bene: questa visione non sottintende una presenza divina, né impone presuntuosamente un panteismo insito nella Terra. È una semplice osservazione della realtà, che – se non indagata a fondo – conduce solo a dubbi e ad atroci perplessità. Una vera e propria cacofonia in un mondo meraviglioso, dove la Natura regna indisturbata con maestosi e intriganti equilibri.
Perché, dunque, la fisica? La fisica è una scienza esatta. La fisica è la scienza. È la scienza in grado di connettere con un sottilissimo filo l’uomo e la realtà. La filosofia, infatti, è deficiente, nel senso etimologico del termine. Laddove la filosofia è necessaria per profonde elucubrazioni che conducono allo studio delle nobili meccaniche che muovono il mondo, la fisica guida l’uomo in un’analitica osservazione della realtà e gli permette di modellizzare la Natura e metterla, in un certo senso, al suo servizio. E così la Natura sprigiona la sua potenza e la sua simmetria, con un passo leggiadro ed estremamente elegante. E questo il fisico lo sa ed è quello che, in un certo senso, va a ricercare. L’eleganza e la simmetria. Il fascino della fisica è anche questo: saper ricercare la perfezione, saper modellizzare la natura e saperla descrivere in modo preciso e rigoroso. Ma quando inizia la fisica?
La domanda è mal posta: dipende dalla definizione che scegliamo di attribuire al termine “fisica”. Secondo una definizione generale, potremmo dire che la fisica inizia con Archimede, Ipparco, Pitagora, Anassimandro, Galileo, Keplero e Newton. Ognuno di essi, infatti, segna l’acquisizione da parte dell’umanità di un nuovo determinante strumento di indagine e di crescita gnoseologica. Se invece, per fisica o, più in generale per scienza, intendiamo un’indagine sistematica basata sull’utilizzo di mezzi sperimentali, allora l’inizio è sicuramente coincidente con la prima rivoluzione scientifica, condotta da Galileo.
La riflessione sulla natura della conoscenza scientifica è stata invece vivace durante gli ultimi decenni: infatti, le letture della fisica, proposte da filosofi come Carnap, Bachelard, Popper e Kuhn, hanno modificato la nostra comprensione di che cosa sia l’attività scientifica. Potremmo dire che questa riflessione è stata la naturale reazione ad uno shock culturale: il vertiginoso crollo della fisica newtoniana, avvenuto nel XX secolo con l’avvento delle teorie quantistiche e relativistiche. Come ho sottolineato in altri articoli, infatti, il 1900 diventa teatro di una nuova “sanguinosa” rivoluzione scientifica che ha destabilizzato non soltanto “gli addetti ai lavori”, ma ha letteralmente sconvolto l’intero panorama culturale, destabilizzandolo e privandolo dei più importanti punti di riferimento. Basti pensare alla crisi del Positivismo, all’Ermetismo, alla poetica pascoliana del Fanciullino o all’avvento della psicanalisi di Sigmund Freud. Una società allo sbando, che rievoca quasi l’assenza di valori descritta da Petronio nell’episodio della Coena Trimalochionis del Satyricon.
Nel 1800 si usava dire che Isaac Newton non fosse soltanto uno degli uomini più intelligenti mai esistiti, ma anche il più fortunato: solo lui, infatti, era riuscito a scorgere nella misteriosa natura un insieme di leggi fondamentali, che racchiudessero l’intero sapere. Nel 2016 questa idea fa sorridere chiunque sappia che cosa significhi fare scienza o filosofia. Questa credenza, infatti, contiene un grave errore epistemologico: le teorie scientifiche venivano considerate definitive e destinate a durare in eterno. Probabilmente il vigore e la violenza con cui le teoria della “seconda rivoluzione scientifica” si sono affermate hanno ribaltato questa concezione, spazzando via questa futile illusione. Grazie al pensiero di Albert Einstein o Werner Heisemberg, infatti, sappiamo che in pochi oggi pensano di poter “trovare le leggi definitive”. La scienza, il mondo e la vita sono in continua evoluzione: sono un flusso che si alimenta e si auto-sostiene, che necessita di un’indagine continua e estremamente ponderata. È opinione consensuale che anche le nuove leggi della relatività e della fisica dei quanti presentino dei limiti e che potranno essere sostituiti da nuove teorie. L’aspetto evolutivo della conoscenza scientifica è stato investigato da Thomas Kuhn. Secondo il filosofo, una teoria scientifica è una descrizione del mondo che ci offre una struttura concettuale, un “paradigma” per descrivere un insieme di fenomeni. All’interno di essa possiamo interpretare i dati sperimentali, formulare in maniera precisa i problemi che ci pone il mondo e cercarne una soluzione. I modelli possono entrare in crisi e quindi fallire, se adeguatamente falsificati dall’esperienza. In questo caso, dunque, può capitare che venga presentata una teoria alternativa in grado di spodestare la precedente, in virtù di un miglior accordo con i dati empirici. Questo non implica una nuova rivoluzione scientifica, ma la normale evoluzione ciclica della fisica, nella cui storia si alternano periodi “normali” a periodi di “rivoluzione”. Nei periodi “normali” esiste una teoria dominante e gli scienziati cercano di risolvere tutte le problematiche insite nel modello adottato. Nei periodi di “rivoluzione”, invece, si assiste a un vero e proprio ribaltamento del paradigma generale, a una completa sostituzione del vocabolario tra la vecchia e la nuova teoria e dunque a una nuova interpretazione dei fenomeni secondo il nuovo schema concettuale. Questa interpretazione della scienza si declina poi nell’esistenza di una grande varietà metodologica e di una molteplicità di scuole in perenne competizione tra loro. Manca però il complesso collegamento tra le diverse teorie scientifiche e con le poche certezze che abbiamo del nostro sapere sul mondo.
Questo modello di scienza è allo stesso tempo troppo radicale nell’astratto e troppo conservatore nel concreto. Radicale perché sembra assumere che ogni nuova teoria possa nascere su una tabula rasa del pensiero scientifico. Conservatore perché non riconosce come contingenti le strutture più rigide del nostro pensiero e, prendendole per assolute, ne diventa inconsapevolmente elemento di difesa, ostacolando così la natura rivoluzionaria del sapere scientifico: un nuovo modello scientifico non è mai una struttura nuova che piove dal cielo, pescata dalla fantasia di un uomo di scienza. È una rielaborazione del pensiero corrente: il cervello dello scienziato ragiona per passi. Questa visione pone l’accento sulla discontinuità che caratterizza l’evoluzione del sapere scientifico, ma rischia di perdere di vista gli aspetti cumulativi di continuità che sono altrettanto innegabili e che giocano un ruolo fondamentale nei momenti di più profondo cambiamento. Come se si ignorasse che, durante le grandi rivoluzioni, viene messo in discussione non ciò che sembrava ragionevole, ma piuttosto ciò che meno ci si aspettava.
Secondo il fisico Carlo Rovelli, la grande spinta che porta alla “rivoluzione” è la totale fiducia nel contenuto fattuale delle teorie precedenti (il contenuto che la filosofia contemporanea vorrebbe trattare come quello meno rilevante). Basti pensare, per esempio, a Dirac che ha introdotto la teoria quantistica dei campi e ha predetto l’esistenza dell’antimateria solo sulla base della fiducia nella relatività ristretta di Einstein e nella meccanica quantistica. Si pensi anche a Newton, che ha compreso l’esistenza della gravitazione universale sulla sola base di una fiducia completa nella terza legge di Keplero e nella scoperta galileiana che il moto è determinato dall’accelerazione, senza alcun input empirico aggiuntivo. Lo stesso Einstein, nel 1915, forse nel suo colpo di genio più grandioso, ha scoperto che lo spaziotempo è curvo solo sulla fiducia della relatività ristretta e della gravitazione newtoniana.
La realtà è che l’indagine gnoseologica ed epistemologica è estremamente difficile e la natura delle “rivoluzioni scientifiche" è più complessa di una semplice riorganizzazione dei dati osservativi su una base concettuale del tutto nuova. È un continuo mutamento ai margini e nelle fondamenta del nostro pensiero globale sul mondo.
Questo rende necessaria una profonda riflessione sull’uomo e sulla vacuità di ciò che ci circonda. Solo così si riesce a giungere alla conoscenza di chi siamo.
Io sono. Io chi sono? Il cielo è primordialmente puro ed immutabile, mentre le nubi sono temporanee. Le comuni apparenze scompaiono, con l'esaurirsi di tutti i fenomeni. Tutto è illusorio, privo di sostanza. Tutto è vacuità
Franco Battiato
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