La musica di Keplero e la scienza di Beethoven
Parte 1
Caro il mio Billy, innanzitutto ti auguro buon anno! Che sia ricco di serenità, soddisfazioni, successi, sorrisi, salute, soldi e... tutto con la S insomma.
Come si dice, chi ben comincia è a metà dell'opera e cosa c'è di meglio di un articolo di Fisici Senza Palestra per inaugurare un nuovo anno? Oggi iniziamo un cammino che eleverà i nostri spiriti ad altezze soavi, addentrandoci nella storia dell’intreccio e del connubio tra due entità che nobilitano il nostro animo. Sarà un viaggio tra storia, filosofia, arte e letteratura il cui fil rouge sono sempre loro, nostre beniamine, muse, consolatrici, motivatrici, compagne di avventure: la musica e la scienza. Non ti senti già ispirato?
Il nostro cammino prevede più mete: prima ripercorriamo l’evoluzione della teoria dell’armonia celeste e poi il pensiero scientifico che si cela tra le note di uno spartito. Pronto? Cominciamo.
Esiste una relazione profonda e recondita tra musica e scienza, non riducibile semplicemente alla fisica acustica, alla frequenza di battimenti o al fenomeno di risonanza. La musica racconta il mondo, la scienza è ricerca di armonia. Nessun musicista dimentica l’ordine e gioca con la regolarità del ritmo come ogni scienziato è affascinato dall’intreccio equilibrato di più voci. Il musicista osserva la realtà, è inesorabilmente e visceralmente sollecitato a formularne una propria interpretazione traducendola in suoni. Nella scienza genio e creatività sono fondamentali per formulare nuove teorie brillanti e destinate a diventare pietre miliari.
Il legame tra musica e scienza è chiaro fin dal Medioevo, quando, con la nascita delle prime università, si ebbe anche una classificazione delle materie d'insegnamento grazie al rettore Marziano Capella. Le sette discipline studiate erano divise in due categorie. Al trivio corrispondevano i rudimenti della politica e degli studi linguistico-filosofici: la grammatica, la retorica e la dialettica. Il quadrivio comprendeva invece le materie scientifiche: l’aritmetica, la geometria, l’astronomia (astrologia) e, appunto, la musica. Nel corso della storia però musica e scienza diventeranno emblemi di ambiti contrapposti, la prima legata all’espressione più pura e istintiva dell’anima, la seconda improntata a spiegare i fenomeni della natura in modo chiaro ed oggettivo. Tale contrapposizione assume un significato rilevante nella filosofia di Nietzsche, che vede l’uomo teoretico dedito a formalizzare la vita per esorcizzare la paura e il dolore (lo scienziato), e l’uomo tragico in grado di ascoltare la voce dello spirito dionisiaco (il musicista) come due modelli antitetici. Nietzsche condanna l’uomo teoretico, ritenuto responsabile della repressione delle pulsioni vitali e creative dell’uomo e auspica che diventi consapevole dell’essenziale esigenza di un ritorno a tale spontaneità e naturalezza. Ma queste parole per noi palestrati sono un’eresia, un oltraggio, un anatema! Come può la nostra amata fisica essere sterile formalismo? Come può lo scienziato essere un freddo calcolatore? Tranquillo Billy, adesso ti convinceremo definitivamente del contrario. Tira pure un sospiro di sollievo.
Johannes Kepler e Ludwig Van Beethoven hanno dato un contributo significativo e prezioso rispettivamente alla scienza e alla musica. Non c’è uomo che non sappia che le orbite dei pianeti sono ellittiche o che non conosca l’Inno alla Gioia. Attraverso l’analisi delle teorie di Keplero e degli spartiti di Beethoven, dimostriamo come uomo teoretico e uomo tragico non sono figure opposte e reciprocamente esclusive, ma che scienza e musica possono collaborare per raggiungere risultati inaspettati e il più delle volte brillanti. Keplero era una scienziato convinto dell’esistenza di armonie celesti, mentre la musica di Beethoven gioca con le trasformazioni geometriche.
Si può quindi parlare di musica di Keplero e scienza di Beethoven? Tutti in coro Billy: CERTO CHE Sí!
La musica di Keplero
Il legame tra musica e scienza ha origini antiche. Riguardava soprattutto la cosmologia e l’esistenza di un’armonia delle sfere celesti.
Tra i primi a interessarsi di tale rapporto fu Pitagora nel VI a.C., colui che credeva che <<tutto fosse numero>>. Il pitagorismo ricostruiva e studiava le consonanze musicali e la loro organizzazione relazionale attraverso il monocordo, uno strumento costituito da una corda tesa, su cui scorre un ponticello mobile. Individuando lunghezza delle corde e tensione appropriata, era possibile isolare i singoli intervalli musicali e darne un’interpretazione numerica, attribuendo loro il valore di una proporzione che descriveva il rapporto fra la lunghezza complessiva della corda e quella necessaria per individuare l’intervallo stesso. I tre intervalli fondamentali erano 2:1 ottava (Do-Do), 3:2 quinta (Do-Sol) e 4:3 quarta (Do-Fa).
Corrispondevano ai numeri della Tetraktýs.
Pur essendo vicina all’esattezza per gli strumenti disponibili all’epoca, la scala diatonica pitagorica (quella che conosciamo tutti Billy, la cantano pure gli Aristogatti) presentava alcune imprecisioni, per esempio i rapporti di terza (Do-Mi) e sesta (Do-La) risultavano piuttosto dissonanti. Nel tempo, i vari intervalli sono stati quindi modificati finché Werckmeister nel 1691 teorizzò una scala “temperata” che trovò conferma nel Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach e che è utilizzata tuttora.
Ma qui viene il bello. Pitagora credeva infatti che i rapporti osservati sul monocordo si riproducessero anche nel cosmo, componendo un’armonia delle sfere celesti: il Sole, la Luna e i pianeti, muovendosi emettono un suono continuo, impercettibile all'orecchio umano. Secondo il sistema a sfere concentriche dei pitagorici, tutti i pianeti, la Terra, la Luna e il Sole sono fissati ognuno a una sfera che ruota da Ovest a Est attorno a un fuoco centrale, situato al centro dell’universo. È la prima volta che nella storia dell’astronomia la Terra si muove. Le stelle fisse si trovano su un‘unica sfera, la più esterna e la più pura. Filolao, uno dei pitagorici, affermava che <<tutte le cose avvengono per necessità e armonia>> e sosteneva che, come sassi che sfrecciano attraverso l’aria, i corpi celesti emettono un suono, ciascuno il proprio, secondo le prescrizioni dell’armonia classica. Il suono sarebbe prodotto per effetto dell’attrito contro il mezzo nel quale navigano, aria, fuoco o materia eterea. Avrebbe un’altezza proporzionale alla velocità del corpo, la quale a sua volta crescerebbe direttamente alla sua distanza dal fuoco centrale. Inoltre i rapporti tra le frequenze dei suoni sarebbero sempre tali da sortire accordi musicali consonanti. Gli uomini non sono più in grado di sentire questa armonia per assuefazione, siccome l’ascoltano sin dalla nascita. Solo l’orecchio più sensibile è in grado di percepirlo, come quello di Pitagora, più fortunato del cugino di Paperino.
I pitagorici riscontrarono però alcune imprecisioni: è stato necessario per esempio variare l’ordine dei corpi celesti per ottenere accordi consonanti, ottenendo comunque una scala di nove note, in contrapposizione a quella diatonica di sette introdotta dallo stesso Pitagora.
Nonostante queste imprecisioni, le teorie pitagoriche domineranno nel campo cosmologico per molto tempo, condivise da autorità del calibro di Platone, Cicerone, Dante Alighieri e William Shakespeare.
Platone riprende le teorie pitagoriche riguardanti i rapporti tra i numeri razionali, la musica e la generazione del mondo. Nel Timeo riconduce la genesi del mondo all'azione di un dio ordinatore, il Demiurgo, che nel suo lavoro di trasformazione del kaos in cosmos segue uno schema matematico. Ne La Repubblica è contenuto il mito di Er, uno dei più importanti miti escatologici dei dialoghi di Platone.
Il mito narra la vicenda di Er, un eroe guerriero della Panfilia morto in battaglia. Nel momento in cui il suo corpo, secondo la tradizione, stava per essere cremato, Er si ridestò improvvisamente dal sonno eterno e raccontò quanto aveva potuto osservare nell'aldilà. In un passo del racconto il guerriero riferisce l’esistenza di un fuso che ruoterebbe sulle ginocchia di Ananke, la forza che regola tutte le cose, dal moto degli astri ai fatti particolari dei singoli uomini. Il fuso è circondato da otto cerchi concentrici, ad ognuno dei quali corrisponde una sirena che emette un particolare suono acuto. Gli otto suoni formano un’armonia. Attorno al fuso si trovano le tre Parche, sorelle di Ananke, che accompagnano con il loro canto l’armonia delle sirene.
Sull’alto di ciascuno dei suoi cerchi stava una Sirena che, trascinata in quel movimento circolare, emetteva un’unica nota su un unico tono; e tutte otto le note creavano un’unica armonia. Altre tre donne sedevano in cerchio a eguali distanze, ciascuna su un trono: erano le sorelle di Ananke, le Moire, in abiti bianchi e con serti sul capo: Lachesi, Cloto e Atropo. E cantavano in armonia con le Sirene: Lachesi il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro. ((Platone, Repubblica, 614 a-621 d))
Il modello pitagorico verrà però confutato dal filosofo per eccellenza: Aristotele, persona dall’indubbio talento che ha profondamente influenzato il pensiero filosofico occidentale, ma un po’ polemico, conscio del proprio valore e a volte arrogante, diciamocelo Billy… Tra noi non ci sono segreti. Aristotele nel De coelo dirà infatti:
Non esiste nessuna musica, ed è facilmente dimostrabile, per assurdo: se esistesse un suono prodotto dalla rotazione degli astri, sarebbe talmente forte ed intenso da distruggere la vita sulla terra, cosa che non è. Quindi non esiste alcuna musica delle sfere. Ma perché non esiste? Perché gli astri si muovono nel medium della propria sfera, e quindi non c’è attrito.((Aristotele, De Caelo, II, 9.))
Aristotele credeva che l’approccio pitagorico fosse una “scienza a priori”, priva di ogni corrispondenza con la realtà. Elaborò un modello di cosmo molto diverso, diviso in due parti nettamente distinte. Al centro si trova il mondo sublunare, nel quale è inclusa la Terra, immobile.
Questa è costituita da elementi soggetti al cambiamento, quindi corruttibili e imperfetti: terra, aria, acqua e fuoco. Le stelle e i pianeti invece sono fissati su sfere celesti rotanti immerse nell’Etere, nota anche come “quinta essenza”. L’Etere si distingue dagli altri elementi in quanto immutabile, eterno e cristallino. Le sfere si muovono secondo un moto circolare uniforme attorno alla Terra. La sfera delle stelle fisse, detta Primo Mobile, è il limite del cosmo aristotelico e ne è anche il primo motore. Questo è messo in movimento direttamente dalla causa prima, identificabile con la divinità suprema, per poi essere trasmesso alle sfere sottostanti.
Questa teoria verrà sostenuta anche da Claudio Tolomeo, astronomo e geografo greco del II secolo d.C., tanto che il sistema geocentrico è noto anche come sistema aristotelico – tolemaico. San Tommaso d’Aquino accoglierà tale sistema, sulla base del versetto della Bibbia “Giosuè disse al Signore sotto gli occhi di Israele: <<Sole, fèrmati in Gàbaon e tu, Luna, sulla valle di Aialon>> ((Gs10,12)). La Chiesa fonderà la sue radici sul tomismo, motivo per cui condannerà all’abiura, al carcere e all’isolamento il povero Galileo Galilei. Questi infatti sosteneva l’eliocentrismo, dimostrato attraverso procedimenti di carattere matematico per la prima volta dal polacco Niccolò Copernico in De Revolutionibus orbium coelestium. Il prototipo dell’eliocentrismo risale infatti agli studi del IV secolo a.C. di Aristarco di Samo.
A questo punto la situazione è questa: Aristotele e la Chiesa contro l’eliocentrismo e l’armonia celeste. Insomma Billy, la situazione non è proprio a nostro vantaggio. Ma sapremo rifarci, non preoccuparti. 1 a 0 palla al centro. Tutto alla prossima puntata!
Parte 2
L’armonia delle sfere celesti non è stata completamente dimenticata. Cicerone ne parla nel Somnium Scipionis, un celebre brano del trattato De re publica. Il brano riporta il racconto di Scipione Emiliano di un sogno, nel quale gli era apparso il nonno adottivo Scipione l'Africano.
Costui aveva predetto le sue glorie future e la sua morte prematura, mostrandogli successivamente una visione delle sfere celesti. Il cosmo di Cicerone è di tipo geocentrico, ma segue la teoria dell’armonia delle sfere celesti di Pitagora. Ognuno degli otto pianeti infatti, tranne la Terra che si trova immobile al centro, emette un suono, tanto più acuto quanto è più alta la velocità. Gli uomini non sono in grado di sentirlo a causa della sua intensità.
Dopo aver osservato questo spettacolo, non appena mi riebbi, esclamai: «Ma che suono è questo, così intenso e armonioso, che riempie le mie orecchie?». «È il suono», rispose, «che sull'accordo di intervalli regolari, eppure distinti da una razionale proporzione, risulta dalla spinta e dal movimento delle orbite stesse e, equilibrando i toni acuti con i gravi, crea accordi uniformemente variati; del resto, movimenti così grandiosi non potrebbero svolgersi in silenzio e la natura richiede che le due estremità risuonino, di toni gravi l'una, acuti l'altra. Ecco perché l'orbita stellare suprema, la cui rotazione è la più rapida, si muove con suono più acuto e concitato, mentre questa sfera lunare, la più bassa, emette un suono estremamente grave; la Terra infatti, nona, poiché resta immobile, rimane sempre fissa in un'unica sede, racchiudendo in sé il centro dell'universo. Le otto orbite, poi, all'interno delle quali due hanno la stessa velocità, producono sette suoni distinti da intervalli, il cui numero è, possiamo dire, il nodo di tutte le cose; imitandolo, gli uomini esperti di strumenti a corde e di canto si sono aperti la via per ritornare qui, come gli altri che, grazie all'eccellenza dei loro ingegni, durante la loro esistenza terrena hanno coltivato gli studi divini.
Le orecchie degli uomini, riempite da tale suono, sono diventate sorde. Nessun organo di senso, in voi mortali, è più debole: allo stesso modo, là dove il Nilo, da monti altissimi, si getta a precipizio nella regione chiamata Catadupa, abita un popolo che, per l'intensità del rumore, manca dell'udito. Il suono, per la rotazione vorticosa di tutto l'universo, è talmente forte, che le orecchie umane non hanno la capacità di coglierlo, allo stesso modo in cui non potete fissare il sole, perché la vostra percezione visiva è vinta dai suoi raggi».
La nostra fortuna è che per quanto la cosmologia di Dante nella Commedia sia basata sul sistema aristotelico – tolemaico, il sommo poeta si discosta dal dettato del maestro nel De Coelo e accoglie la teoria dell’armonia delle sfere celesti. Questa era avvalorata anche da alcune autorità della tradizione teologica come sant’Ambrogio e Onorio d’Autun. Inoltre è possibile cogliere un’allusione alla musica celeste in un versetto del libro di Giobbe, 38, 17: <<Concentum caeli quis dormire faciet?>>, <<Chi può far tacere la musica del cielo?>>. L’incontro di Dante con la musica delle sfere avviene nel primo canto del Paradiso, quando rimane abbagliato e meravigliato per <<la novità del suono e ‘l grande lume>> che caratterizza il regno dei beati.
Quando la rota, che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso,
con l’armonia che temperi e discerni,
Parvemi tanto, allor, del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece mai tanto disteso
Non si hanno certezze circa la presunta adesione di Dante alla teoria dell’armonia delle sfere celesti, ma il critico letterario Natalino Sapegno ha colto la citazione pressoché letterale dei termini “temperi e discerni” in un passo del Somnium Scipionis di Cicerone:
Hic est’ inquit ‘ille, qui intervallis disiunctus imparibus, sed tamen pro rata parte ratione distinctis impulsu et motu ipsorum orbium efficitur et acuta cum gravibus temperans varios aequabiliter concentus efficit
Nelle glosse riguardo l’unico luogo sicuramente attestato, comunque, le edizioni italiane sono nel complesso piuttosto caute. Quella a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio sottolinea l’unicità dell’allusione. Sulla stessa linea anche la Chiavacci-Leonardi che dice esplicitamente che <<nel creare il suo paradiso, Dante segue la tradizione di ispirazione platonica che gli offre la possibilità di raffigurarne aspetti sensibili quali, oltre la luce, il suono>>. Sarebbe dunque un espediente efficace per rappresentare in modo più comprensibile e concreto il Paradiso.
Tra gli ultimi accenni letterari all’armonia delle sfere celesti è possibile annoverare un passo della commedia Il Mercante di Venezia, Atto V - Scena I, di William Shakespeare (1564 – 1616), contemporaneo di Keplero (1571 – 1630). Non esiste comunque alcun documento che attesti conoscenze scientifiche del Bardo in materia.
Sappiamo che sei un romanticone Billy. Adesso ti accontentiamo con una scena di puro amore. Lorenzo e Jessica, dopo la loro fuga d’amore, si trovano presso la villa di Belmonte in attesa di Antonio, che è stato appena prosciolto dai capi d’accusa di mancata soddisfazione del debito all’ebreo Shylock grazie all’astuzia dell’amata Porzia.
Lorenzo:
Oh, con quanta dolcezza non s’è addormentato il chiaro di luna su questa proda erbosa. Qui sederemo e lasceremo che il suono della musica penetri le nostre orecchie. Questa soave calma e la notte ben s’addicono agli accenti della più squisita armonia. Siedi qui, Jessica, e guarda come il pavimento del cielo è tutto un fitto intarsio di patene d’oro lucente. Nemmeno la più piccola stella fra quelle che contempli s’astiene, nel suo moto, dal cantare come un angelo, in perpetuo accordo con i cherubini dallo sguardo eternamente giovane. Tale è il senso e il gusto dell’armonia che abita le anime immortali! ma per tutt’il tempo in cui le nostre volgarmente rinserra questa involucro d’argilla soggetto a disfarsi, non possiamo udirla.
Eccoti un fazzoletto Billy, tienilo pure.
Riassumendo, la cronologia della teoria dell’armonia delle sfere celesti ha inizio nel VI secolo a.C. con Pitagora, secondo cui <<tutto è numero>>. Prosegue con Platone, che verrà però smentito dall’allievo Aristotele. Sulla linea di quest’ultimo si trovano Tolomeo e San Tommaso, quindi la Chiesa. L’armonia celeste però sopravvive nel Somnium Scipionis di Cicerone, che influenza la Divina Commedia di Dante. Approda inoltre in Inghilterra, dove il Bardo vi accenna ne Il Mercante di Venezia.
L’ultimo scienziato ancora affascinato dalla teoria dell’armonia delle sfere celesti fu Giovanni Keplero. Egli era estremamente affascinato dall’equilibrio e dalla regolarità, dalla concezione di un Dio geometra, architetto supremo che avrebbe creato l’universo secondo un perfetto progetto matematico, ispirandosi ai solidi platonici.
Johannes Kepler nacque il 27 dicembre 1571 a Weilderstadt, in Germania, e iniziò a interessarsi di astronomia presso l’Università di Tubinga, dove insegnavano alcuni seguaci del copernicanesimo, pur essendo iscritto ai corsi di teologia. Frequentò dunque contemporaneamente le lezioni di matematica di Michael Mästlin, seguace della teoria eliocentrica.
Nel 1594 Keplero divenne insegnante di matematica a Graz (Austria) e due anni dopo elaborò l'opera Mysterium Cosmographicum, nella quale tentò una prima descrizione dell'ordine dell'Universo. Nel 1599 Tycho Brahe, a cui Keplero aveva inviato una copia del Mysterium Cosmographicum, gli offrì di diventare suo assistente. Lo seguì a Praga, presso la corte di Rodolfo II e nel 1601 gli succedette nella carica di matematico imperiale e astronomo di corte.
Proseguì gli studi iniziati dal maestro, dedicandosi però meno all’osservazione diretta nella quale Brahe eccelleva e lavorando soprattutto attraverso calcoli matematici. Le basi per le sue scoperte astronomiche furono gettate nel 1609, quando pubblicò Astronomia nova, in cui formulò le sue prime due leggi. Per Keplero le leggi dei pianeti rappresentarono molto più della descrizione di un meccanismo fisico. Nella tradizione del leggendario filosofo greco Pitagora, Keplero non scorgeva scienza e spiritualità come una reciproca esclusiva. Il significato più profondo delle leggi di Keplero è riscontrabile nel fatto che esse riconciliano la visione emergente di un sistema planetario eliocentrico con un antico concetto pitagorico di armonia universale, proprio come piace a noi Billy. La prima legge di Keplero afferma che i pianeti descrivono orbite ellittiche, quasi complanari, aventi tutte un fuoco comune in cui si trova il Sole. La seconda legge afferma che il raggio che unisce il centro del Sole al centro di un pianeta descrive superfici uguali in intervalli di tempo uguali.
Per la seconda legge di Keplero, la velocità dei pianeti non ha un valore costante, ma attraversa una gamma continua di valori che vanno da un massimo in prossimità dell’afelio (punto più lontano dal Sole lungo l’orbita) a un minimo in prossimità del perielio (punto più vicino al Sole). Keplero crede che ad ogni velocità corrisponda una frequenza, per cui ogni pianeta, nel percorrere la sua orbita, genera una propria caratteristica melodia, tanto più estesa nella gamma delle frequenze tanto è maggiore l’eccentricità dell’ellissi. Maggiore è l’eccentricità, più l’ellissi è schiacciata. La melodia sarebbe quindi molto variegata per Mercurio e quasi monotona nel caso di Venere. I rapporti tra le velocità angolari in afelio e perielio inoltre formano intervalli musicali notevoli.
Per esempio per Saturno tale rapporto vale circa 5:4, che corrisponde a una terza maggiore (do- mi), per Marte 3:2, quinta perfetta (do – sol), per la Terra 16:15, semitono diatonico mi – fa. Possono inoltre essere rapportate le velocità angolari massime e minime di due pianeti adiacenti, le quali producono ulteriori intervalli musicali.
La corrispondenza tra figure geometriche e intervalli musicali però ignora il tempo, fondamentale nella musica. La velocità angolare però è legata al tempo di percorrenza dell’orbita. È necessario quindi stabilire quale relazione leghi gli assi dell’ellisse e i periodi orbitali. In Harmonice mundi si legge : <<… è cosa certissima che la proporzione che lega i tempi periodici di ciascuna coppia di pianeti sia precisamente la proporzione sesquialtera delle distanze medie>>. La proporzione sesquialtera consiste nel rapporto 3:2 , il quale equivale esattamente all’intervallo di quinta perfetta che regge l’intero sistema musicale pitagorico. Keplero formulò quindi la cosiddetta “legge armonica” nel 1618, che rese nota l'anno successivo nell'opera Harmonices mundi.
Eccentricità:
Saturno | 0,056 |
Giove | 0,048 |
Marte | 0,093 |
Terra | 0,017 |
Venere | 0,007 |
Mercurio | 0,206 |
Questa afferma che i quadrati dei tempi che i pianeti impiegano a percorrere le loro orbite sono proporzionali ai cubi delle loro distanze medie dal Sole.
E qui Billy possiamo crogiolarci nella goduria derivante dalla bellezza di questa formula. Si tratta infatti dell’apoteosi del connubio tra musica e scienza: è l’armonia celeste che assume una forma analitica definita. Il moto dei pianeti è basato su proporzioni che richiamano intervalli musicali.
Oggi sappiamo che i pianeti non producono alcuna armonia per effetto del loro movimento. L’unico suono che è stato rintracciato nell’universo è la cosiddetta radiazione cosmica, nota anche come rumore di fondo. Si tratta della radiazione residua proveniente dalle fasi iniziali della nascita dell'universo: l’eco del Big Bang. Definire la teoria dell’armonia celeste pseudoscienza o chimera sarebbe però estremamente riduttivo. Le ricerche volte a dimostrarne l’esistenza sono state svolte da autorità eminenti quali quelle di Pitagora, Platone e Keplero, il cui genio e talento scientifico sono indiscutibili. Inoltre, per quanto si siano poi rivelate infondate, non sono state certamente infruttuose. Gli studi al monocordo hanno contribuito a elaborare la scala diatonica, la Repubblica di Platone è sicuramente uno dei trattati a tema politico più importanti e l’idea di un’armonia celeste ha portato Keplero a formulare la sua terza legge, la legge armonica. Possiamo quindi dire 1 – 1 ma con una nota di merito per la nostra squadra per la capacità creativa.
La musica potrebbe rivelarsi un valido strumento per comprendere il mondo e l’uomo è stato, è e sempre sarà affascinato dall’ordine e dall’equilibrio. Il motivo? Non vi sono certezze, ma Richard Feynman tenta una risposta:
So our problem is to explain where symmetry comes from. Why is Nature so nearly symmetrical? No one has an idea why. The only thing we might suggest is something like this. There is a gate in Japan, a gate in Neiko, which is sometimes called by the Japanese the most beautiful gate in all Japan; it was built in a time when there was great influence from the Chinese art. The gate is very elaborate, with lots of gables and beautiful carving and lots of columns and dragon heads and princes carved into the pillars, and so on. But when one looks closely, he sees that in the elaborate and complex design along one of the pillars, one of the small design elements is carved upside down; otherwise the thing is completely symmetrical. If one asks why this is, the story is that it was carved upside down so that the gods will not be jealous of the perfection of man. So they purposely put an error in there so that the gods would not be jealous and get angry with human beings. We might like to turn the idea around and think that the true explanation of the near symmetry nature is this: that God made the laws only nearly symmetrical so that we should not be jealous of His perfection!
Richard Feynman, “Six Not-So-Easy Pieces”
Parte 3
Iniziamo a parlare delle suggestioni scientifiche che si posso carpire tra i capolavori di un talento eterno della musica: Ludwig van Beethoven. Il nostro cammino, piuttosto impegnativo, attraverserà filosofia e arte per arrivare alla destinazione tanto ambita: il sodalizio tra musica e scienza. Chiudi per un momento gli occhi, respira profondamente, concentrati e raccogliti in una ascesi personale, raggiungendo un tuo piccolo e privato nirvana. Leggendo immagina un Beethoven versione cartoon che si destreggia tra i paesaggi descritti dai quadri, con le sue sinfonie come colonna sonora.
La scienza di Beethowen
La filosofia si è sempre rivolta ai vari ambiti del sapere con l’obiettivo di individuarne il metodo, determinarne i fondamenti, ma soprattutto applicarvi le proprie griglie concettuali e trovare conferma dei propri concetti teorici. Si è interessata di fisica, matematica, cosmologia, storia, politica, estetica, sue articolazioni interne, ma ha riservato una peculiare attenzione all’arte, sia come espressione della psiche e dei sentimenti umani, sia come immagine non concettuale del mondo e della realtà. La musica in particolare assurge a un ruolo filosofico di rilievo. Si discosta maggiormente dalla tangibilità e dalla concretezza del reale rispetto al colore o alla parola. Se la filosofia cerca di risolvere la relazione con l’essere e con il nulla, il rapporto tra soggetto e oggetto, tra anima e corpo, tra spirito e materia attraverso definizioni e sillogismi, la musica contiene questi enigmi in nuce e in fieri nella propria essenza sonora, articolandone il senso, ma senza prospettarne una soluzione concettuale.
La musica inoltre riflette sul ruolo occupato dall’uomo nel mondo, nella società, nella storia. Gli avvenimenti, le esigenze, i cambiamenti e la Weltanschauung (concezione del mondo) propria di ogni epoca si ripercuotono così sulla Musikanschauung (modo musicale di concepire il mondo). Ne derivano i canti corali che accompagnavano le tragedie greche, il canto gregoriano nel Medioevo cristiano, la musica popolare dei trovatori del XIII secolo, l’Ars nova laicizzante del Trecento, l’equilibrio dell’armonia durante il Rinascimento, la nascita del melodramma grazie a Monteverdi nel XVII secolo, la musica da camera regolare e serena dell’Illuminismo, fino alle possenti e brillanti sinfonie del Romanticismo.
Ludwig van Beethoven è sicuramente il compositore più grande nella storia della musica.
Beethoven vive in un’era trasformata dalla Rivoluzione Francese e dalle guerre napoleoniche, in un nuovo mondo musicale che con audacia apre la strada al Romanticismo. All’equilibrio della forma sonata classica infonde nuova vitalità, un impeto interiore che apre alla musica orizzonti inesplorati e la rinnova completamente in senso armonico e timbrico, ritmico e melodico. La sua musica prende forma dai conflitti interiori dell’artista, ne mette a nudo le passioni e i dolori, ne interpreta gli ideali, senza però svincolarsi mai totalmente dalle forme musicali canoniche e risolvendo infine il conflitto grazie a una trascendente spiritualizzazione. Per questo motivo condivide le istanze del movimento preromantico tipicamente tedesco dello Sturm und Drang, che significa “Tempesta e Impeto”.
Nato a Bonn nel 1770 da una famiglia di origine fiamminga, si dedicò presto alla musica, con la quale cercò di lenire la sofferenza di una dura esistenza contrassegnata dalla miseria e da preoccupazioni di ogni tipo. Qual è il peggior male per una persona che vive per la musica Billy? Senza dubbio la sordità, tormento di tutta la sua esistenza, che lo estraniò dalla vita sociale e dai rapporti affettivi e lo rinchiuse in una cupa misantropia. Chiunque, Billy, si sarebbe arreso, ma non il nostro SuperBeethoven. Combatté il suo dolore con tutta l’energia di un carattere volitivo e fiero, con l’ansia cocente di felicità che lo spingeva verso mete luminose, con lo struggente desiderio di bontà e di fratellanza che contrassegnava la sua anima. Da questo immenso conflitto interiore presero forma e sostanza le sue immortali sinfonie, le sonate e i quartetti, sfolgoranti per la potenza e la novità formale, ma soprattutto per la loro elevatezza spirituale, la loro implorante richiesta di amore e di luce. Dunque Billy, paradossalmente la sordità per Beethoven è stata la sua (e nostra) più grande fortuna.
Deluso anche dalla realtà sociale e politica che veniva brutalmente a smentire gli ideali tardo - illuministici a cui aveva aderito, Beethoven trasfuse nell’arte il suo insopprimibile bisogno di libertà, di indipendenza, di ascesi spirituale. Scrisse pagine rivoluzionarie per l’empito interiore, l’accentuazione dei contrasti, il furore dei sentimenti, l’intensità dell’espressione. All’equilibrio della forma, retaggio della civiltà settecentesca, egli unì l’imperiosa vitalità, l’estro fantastico del genio che apre alla musica orizzonti inesplorati, un <<Titano combattente con gli dei>> come dirà Wagner. Come sempre quindi Billy la grandezza non proviene dagli eccessi, ma dall’equilibrio. Non è tutto o nero o bianco, ma “est modus in rebus” come dice Orazio.
Nelle sinfonie di Beethoven è possibile cogliere il legame indissolubile tra musica e scienza. Per quanto i preromantici siano antiaccademici, Beethoven non dimenticherà i canoni di equilibrio e ordine neoclassici, tanto che nei manuali di Storia della Musica è annoverato nella cosiddetta “triade classica” insieme a Hayden e Mozart. Retaggi di tale stile classico possono essere ritrovati nelle proporzioni organiche delle forme, nella simmetria delle parti e dei singoli elementi, nell’eloquio basato su frasi brevi, periodiche e articolate che caratterizzano in decrescendo tutte le opere di Beethoven, fino ad annullarsi nella Nona Sinfonia. L’equilibrio, l’ordine e la simmetria neoclassica sono individuabili per esempio nel frequente uso di trasformazioni geometriche, in particolar modo di isometrie, di cui la Quinta Sinfonia è disseminata. È dunque lecito parlare di una scienza in Beethoven? Ancora una volta tutti in coro Billy: CERTO CHE SI!
La scienza non è composta solo da coniche, stringhe, limiti, traiettorie, circuiti. La scienza è caratterizzata innanzitutto da uno specifico modus operandi. Tale modus operandi è il principio del processo dialettico con cui il filosofo idealista Georg Wilhelm Friedrich Hegel interpreta la realtà.
Theodor Ludwig Wiesengrund-Adorno, filosofo e musicologo tedesco, scrisse in Beethoven, Filosofia della musica: <<La musica di Beethoven è la filosofia hegeliana>> e <<La volontà, energia che in Beethoven la Forma mette in moto, è sempre il Tutto, lo Spirito del Mondo hegeliano>>.
Il 3 è un numero chiave in Beethoven. Tre sono state le promesse della giovinezza: il talento, le parole di incoraggiamento di Mozart, l’appoggio di esponenti dell’alta società viennese; tre i dolori che lo afflissero in età matura: la morte della madre, la freddezza del padre, la sordità; tre i motivi che gli diedero infine speranza: la fratellanza, la libertà, la musica. È immediato il collegamento con le tre fasi che compongono il processo dialettico di Hegel: tesi, antitesi, sintesi. Tale tripartizione può essere applicata non solo nella vita, ma anche nell’evoluzione musicale di Beethoven.
Hegel rappresenta il culmine e il compimento della filosofia idealista. L’idealismo è un atteggiamento filosofico che non si ferma dogmaticamente ai fatti, ma ne indaga la condizione prima e assoluta. Si tratta quindi di una ricostruzione della genesi della coscienza. L’obiettivo è mostrare come la coscienza, in base all’esperienza dualistica di opposizione tra soggetto e oggetto, creda ingenuamente e dogmaticamente nell’esistenza di realtà in sé, fuori dalla coscienza stessa. Ti avevo avvisato Billy che sarebbe stato piuttosto impegnativo, oggi riflettiamo sull’Essere, la coscienza e la realtà, ma di certo non fa male, spolveriamo un po’ gli ingranaggi.
Secondo Hegel il cammino di conoscenza è un processo dialettico, un viaggio del tutto particolare in cui la destinazione e il percorso coincidono. È composto da tre momenti, tesi antitesi e sintesi. Ti ricordi però Billy che avevamo detto che il nostro sarebbe stato un viaggio tra arte e filosofia? Non ci facciamo mancare mai niente. Questi tre momenti infatti sono ben rappresentati figurativamente dai tre pannelli che costituiscono l’opera di Klimt “Il Fregio di Beethoven”. Procediamo per ordine e facendo un parallelo tra filosofia e arte:
1. L’anelito alla felicità | Tesi - Proposizione
Consiste nella conoscenza di un fatto che tende a presentarsi come vero, senza dimostrazioni, senza via di scampo.
Nella prima scena, <<le suppliche del debole genere umano>>, incarnato da tre figure nude, si rivolgono alla Forza, impersonata da un cavaliere in armatura, a Compassione e a Ambizione, che prendono la forma delle due donne poste alle sue spalle, chiedendo di porre fine alle loro sofferenze. Il cavaliere dall'espressione decisa e concentrata muove un passo in avanti e impugna la spada, accettando la missione. Adeguandolo all’interpretazione hegeliana, rappresenta Beethoven che percepisce le prime avvisaglie della sordità, il male peggiore per un musicista. Dato che Beethoven non suona per vivere, ma vive per suonare, capisce che deve reagire, ma ovviamente tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, è sempre così Billy.
2. Forze ostili | Antitesi – negazione
Il <<travaglio del negativo>> è il reale motore del processo dialettico e consiste nella soppressione della tesi. L’<<immane potenza del negativo>> è infatti la capacità di non fermarsi all’apparenza, che si trasforma nella volontà di scoprire cosa effettivamente è vero e non si spaccia solo per tale.
Sulla parete successiva è raffigurato invece il gruppo delle Forze Ostili, ovvero il Gigante Tifeo, un gorilla sdentato <<contro il quale gli stessi dei combatterono senza successo>>, con le figlie, le tre Gorgoni, vicine a Malattia, Follia e Morte. Completano la gioiosa combriccola i peccati mortali Lussuria, Impudicizia e Intemperanza, e infine il Dolore struggente, la figura scheletrica rannicchiata su se stessa. Le Forze Ostili ostacolano e indeboliscono il cavaliere, che rischia di non portare a termine la sua missione. Beethoven si chiude in una cupa misantropia, ma non si dà per vinto e continua a combattere contro le forze avverse del destino. In questo periodo compone la Quinta Sinfonia. È l’opera più caratteristica e significativa dell’agonismo eroico. Le quattro note iniziali, come disse lo stesso Beethoven, esprimono <<il battere del destino alla nostra porta>> e le innumerevoli dissonanze svolgono una funzione di incalcolabile tensione. Rappresenta infatti la lotta eroica, affannosa e drammatica dell’uomo contro le cieche potenze avverse, il tormento interiore, le aspirazioni deluse.
3. Inno alla gioia |Sintesi – mediazione
E' basata sul principio dell’Aufhebung, cioè del mantenimento e superamento, della <<soluzione e trapasso>> di tesi e antitesi che permette il loro inveramento.
Nel terzo momento del Fregio si placa la tensione suscitata dalla parete con Le Forze ostili e si risolve il travaglio dell’uomo grazie alla Poesia (o Musica), rappresentata da una suonatrice di lira. Il pannello è suddiviso verticalmente in tre gruppi: una colonna di figure femminili cui fa da sfondo una fiamma dorata, il <<coro degli Angeli del Paradiso>> e l'abbraccio di una coppia all’interno di una grande campana che rappresenta simbolicamente l’Eden. Il cavaliere ha portato a termine con successo la missione. Beethoven ha vinto la battaglia contro il destino e grazie a una trascendente spiritualizzazione, canta alla fratellanza e alla libertà. Le donne sono sempre protagoniste, ma il pittore le spoglia della connotazione maligna che trionfa nella parete delle Forze ostili e le rappresenta non più come streghe, ma come vestali. Le figure stilizzate, la ripetizione dei visi, delle pose e degli abiti conferiscono all'insieme armonia (sempre a quella puntiamo Billy), accentuata dall'ondeggiare delle linee e dall'uso di colori brillanti, sovrastati dalla presenza dell'oro, che evoca un'idea di sacralità. La parte conclusiva del Fregio rappresenta la felicità raggiunta espressa dall'Inno alla Gioia di Schiller, messa in musica da Beethoven nel finale della Nona Sinfonia.
E questo Billy, cosa è se non il metodo scientifico?
Lo scienziato osserva un fenomeno: la mela cade dall’albero.
Dopodichè, all’inizio accetta semplicemente il fatto, ma poi, mosso dal suo spirito indagatore, e probabilmente dal bernoccolo che la mela ha lasciato, si chiede perché il frutto sia caduto dall’albero. Newton si è posto una domanda basilare e semplice: perché la mela cade verso il basso e non verso l’alto? Le scoperte scientifiche Billy, non nascono mai da dubbi esistenziali sui massimi sistemi, che vogliono stravolgere lo spazio e il tempo. Le scoperte nascono sempre a partire da eventi quotidiani e scontati. Il talento dello scienziato è incuriosirsi di un fenomeno solo apparentemente banale, ma che in realtà nasconde un meccanismo ben più grande e complesso di quello che si potrebbe immaginare. Newton ha avuto due esaurimenti nervosi e non è riuscito e dormire la notte finchè non ha ottenuto la risposta alla sua domanda: l’ipotesi della validità della formula
Ma la prima volta che è giunto a questo risultato, la formula non era ancora accettabile. È necessario testarla, verificare che sia compatibile anche con tutte le altre formule conosciute, che spieghi altri fenomeni oltre alla caduta della mela. L’esperimento (che corrisponde all’antitesi) è la fase più importante del metodo scientifico. Solo dopo aver sottoposto l’ipotesi a tutte le prove possibili, la formula può essere promossa a legge: la legge della gravitazione universale.
Dunque le opere di Beethoven, che rispecchiano la sua vita, seguono una versione creativa e artistica del metodo scientifico.
Nella Nona Sinfonia per esempio due temi vengono inizialmente esposti e opposti (tesi) poi sviluppati in un gioco di contatti e trasformazioni reciproche (antitesi). Infine sono ripresentati in una sorta di riconciliazione che produce una nuova conoscenza di sé, la quale conserva in sé i contrasti e la delusione dell’esperienza precedente, caricando di un nuovo significato quelli che all’inizio sembravano semplici temi (sintesi). La Nona Sinfonia quindi è la versione artistica del vissuto del compositore.
Parte 4
Ed eccoci al capitolo conclusivo del nostro racconto Billy. Ormai siamo vicini alla destinazione, anche se nella parte precedente abbiamo imparato che la vera meta è in realtà il viaggio stesso. Ti ricordi che ti avevo detto di raggiungere il tuo personale nirvana, nella pace dei sensi?
- Udito -> Inno alla Gioia -> checked
- Olfatto -> Profumo della zeppola miracolosamente avanzata da sabato -> checked
- Gusto -> L’imminente sparizione della zeppola-> checked
- Tatto -> La zeppola-> checked
- Vista -> Fregio di Beethoven -> checked
Siamo al completo, siamo a un passo dal raggiungimento della perfetta armonia. Manca solo l’ultima tessera del nostro puzzle Billy. Abbiamo detto che le sinfonie di Beethoven non sono altro che una trascrizione su spartito del suo vissuto. La sua spensierata giovinezza è stata interrotta da un male spaventoso, la sordità, che in un primo momento l’ha spinto in una cupa misantropia. Poi però Beethoven non si è arreso e ha deciso coraggiosamente di intraprendere una lotta contro le Forze del Destino, che si è conclusa con una sua gloriosa vittoria. Questo percorso è un processo dialettico, che non è altro che la versione filosofica del metodo scientifico. L’ultima tessera del puzzle è studiare le isometrie che sono disseminate in tutti i suoi spartiti, in modo da dimostrare una volta per tutte che esiste un profondo legame tra musica e scienza.
Isometrie
Le isometrie sono una particolare categoria di trasformazione geometrica. Una trasformazione geometrica è una corrispondenza biunivoca che associa ad ogni punto uno e un solo altro punto del piano stesso, detto immagine.
Il termine “isometria” deriva dal greco isos “uguale” e metron “misura”. Un’isometria è una trasformazione nella quale la distanza fra due qualunque punti del piano A e B è uguale a quella fra le loro immagini A’ e B’. Vi sono quattro tipi di isometrie: traslazione, simmetria assiale, simmetria centrale e rotazione.
L’applicazione di tali isometrie non è circoscritta esclusivamente all’ambito matematico, ma può produrre risultati originali e brillanti anche nell’arte. Il Battistero di San Giovanni a Firenze, il Duomo di Milano o le vetrate della cattedrale di Notre Dame di Parigi ne sono esempi evidenti. L’individuazione di isometrie nella Quinta Sinfonia di Beethoven invece potrebbe risultare meno immediata, ma dare risultati assolutamente sorprendenti. Basta sostituire il temine “nota” a “punto”, “altezza” a “distanza sull’asse y” e “durata” a “distanza sull’asse x”. Per i non addetti ai lavori Billy, l’altezza di un suono indica quanto è acuto o grave. Per esempio, un soprano ha un registro vocale più alto di un tenore. In termini meno aulici, se vuoi comunicare con i cani ti consiglio di emettere un suono molto alto; se invece preferisci quattro chiacchiere con una balena (e no Billy, non intendo una donna molto grassa), meglio emettere suoni molto bassi.
Troviamo queste isometrie nella Quinta Sinfonia.
- Traslazione: è un’isometria che associa ad ogni punto A un punto A’ tale che AA’ abbia modulo, direzione e verso costanti.
La traslazione è la prima trasformazione geometrica che appare nella Quinta Sinfonia di Beethoven. Le celebri prime quattro note, che sono state definite da Beethoven in persona “il destino che bussa alla porta”, vengono poi ripetute nelle battute immediatamente successive, ma un tono inferiore:
Battistero di San Giovanni, Firenze. Esempio di traslazione, ma anche di simmetria assiale. |
La traslazione è la trasformazione geometrica più frequente.
Infine, è importante considerare che la Sinfonia può essere suddivisa in sezioni, che si ripetono sia grazie ai ritornelli (battute 1 – 123), sia grazie a ripetizioni con variazioni di tonalità o di ritmi, comunque ascrivibili tra le traslazioni.
- Simmetria assiale: fissata nel piano una retta r detta asse di simmetria, la simmetria assiale è l’isometria che a ogni punto A associa un punto A’ nel semipiano opposto a r tale che r sia asse del segmento AA’, ossia:
- r passa per il punto medio di AA’
- AA’ è perpendicolare a r
Asse di simmetria: SI
Duomo di Milano. Esempio di simmetria assiale. |
Nel primo esempio, si ha una simmetria assiale quando le mani destra e sinistra suonano lo stesso motivo: la prima in moto discendente, la seconda in moto ascendente. Non si tratta comunque di una simmetria perfetta in quanto i due moti non vengono suonati contemporaneamente, ma in modo alternato. L’asse di simmetria è orizzontale e coincide con la linea della nota SI. Il secondo caso invece presenta una simmetria più semplice. L’asse è verticale e coincide con il secondo SI bemolle.
- Simmetria centrale: isometria che ad ogni punto A del piano associa un punto A’ tale che M sia il punto medio del segmento AA’.
Le simmetria centrali sono piuttosto frequenti, anche se non tanto quanto le traslazioni. Alcuni esempi sono :
Rosone della Cattedrale di Notre Dame, Parigi. Esempio di simmetria centrale, ma anche simmetria assiale e rotazione. |
- Il quarto tipo di isometrie è la rotazione, ma risulta difficilmente rintracciabile considerando che il piano in questione è un pentagramma.
L’immagine seguente rappresenta la prima pagina dello spartito della Sinfonia. Anche se il solfeggio non è catalogato nel tuo archivio, prova a osservare anche solo graficamente lo spartito Billy: la sequenza di “pallini neri” quadrati con lo stesso colore hanno la stessa identica posizione, a meno di una isometria, cioè a meno di uno spostamento di una riga o uno spazio.
La ricerca di simmetrie nella musica di Beethoven e di un’armonia delle sfere celesti da parte di Keplero suscitò inizialmente le critiche di Nietzsche. Questi infatti critica lo storicismo schematico, immobile e piatto di Hegel. Crede invece che l’uomo debba lasciare libera la parte più istintiva di sé e non respingere conflitti e incertezze. Questo Billy non ti giustifica a comportarti come una scimmia selvatica, bisogna sempre usare il cervello. La componente più oscura e naturale dall’uomo viene definita dionisiaca, in contrapposizione alla tendenza a schematizzare, ordinare e formalizzare tipica invece dello spirito apollineo che ormai prevale fin dall’epoca di Socrate, raggiungendo momenti drammatici nell’epoca moderna. Secondo Nietzsche si possono distinguere quindi due tipi di uomini. L’uomo teoretico violenta la vita comprimendola in concetti e sillogismi. L’uomo tragico al contrario dice <<sì e amen>> alla vita, accettandola in tutti i suoi aspetti. Lo scienziato è l’uomo teoretico per eccellenza. Il musicista è un modello di uomo tragico. Scienza e musica sembrano dunque in antitesi, in netta contrapposizione, diametralmente opposte. Nietzsche stesso, però, in un secondo momento, in ragione del suo mezzo preferito, la contraddizione come ritrattazione e sviluppo, rivaluta la scienza. Crede, infatti, che sia un ottimo metodo di pensiero critico in grado di emancipare gli errori che gravano sulla mente degli uomini. Questo è possibile solo se si libera dal freddo e spietato meccanicismo e se lo scienziato si arricchisce invece di creatività, flessibilità e dello <<spirito del viandante>>. Diversamente dal turista, il viandante viaggia non in vista di una meta ultima, ma per il gusto di assimilare insegnamenti ad ogni singola tappa. La filosofia di Hegel quindi non è incompatibile con le teorie di Nietzsche. Come abbiamo già detto, non è necessario ricoprire una distanza per raggiungere una destinazione lontana, in quanto la meta è il percorso stesso. La musica di Keplero e la scienza di Beethoven sono un esempio di scienza artistica, che unisce all’indagine della natura l’estro dell’arte, forse in linea con l’equilibrio tra apollineo e dionisiaco che partorisce capolavori, (irrimediabilmente?) perso fin dall’epoca di Eschilo e Sofocle. Se liberato dunque da alcune rigidità, il processo dialettico di Hegel diventa un percorso lungo il quale l’uomo si rapporta in modo spontaneo e genuino con la natura, con altri uomini e con se stesso. La musica è sicuramente un’ottima compagnia e potrebbe dimostrarsi un valido strumento di analisi, comprensione e conoscenza. Ti auguro quindi Billy di fare tuo lo spirito del viandante e goderti ogni tuo singolo viaggio!
Sayonara!
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