Perché sentiamo il piccante?
Chi più, chi meno, tutti prima o poi abbiamo sperimentato la letale azione che anche solo una traccia di peperoncino (magari di quelli forti, che hanno la loro da dire) può avere sulle nostre papille gustative. Per quanto mi riguarda parlo soprattutto a nome dei primi (i “chi più”), coloro che (e non si fa per dire!) hanno pianto per una puntina di troppo di ‘nduja, non hanno mai conosciuto il vero sapore della pasta all’arrabbiata, mangiando con gli amici o i parenti si sono sentiti chiedere varie volte se andasse tutto bene e in altrettante occasioni hanno risposto un vago “sì, la mia faccia è di questo rosso solo perché ho un po’ caldo”.
Ebbene, vi presento la principale responsabile di tanta sofferenza per chi non può reggere il piccante:
si chiama capsaicina, ed il suo modo di agire ha un che di diabolico.
Non è un sapore
Premessa: l’uomo è in grado di percepire cinque diversi sapori: dolce, amaro, salato, acido ed umami (un particolare gusto che dipende dall’amminoacido glutammato, presente in cibi altamente proteici quali carne e formaggio), con diversi meccanismi biochimici: per salato e acido è una questione di ioni che entrano nelle cellule recettoriali, per gli altri tre di recettori che legano batterie di molecole responsabili delle sensazioni… ora!, qua la gola sta prendendo il sopravvento, parlare di cibo è piacevole ad ogni ora e io sto divagando.
Dunque, il recettore: è una complesso che la cellula espone sulla sua membrana (vi sono anche recettori che rimangono all’interno, nel citoplasma, ma non complichiamo inutilmente la faccenda) in grado di legare una o più molecole in maniera specifica; l’interazione tra ligando e recettore provoca poi delle risposte della cellula stessa (nel caso del gusto, l’invio di un segnale gustativo appunto).
Il concetto fondamentale che voglio passare, comunque, è che tutti i cinque gusti raggiungono il cervello tramite specifiche vie, mentre la capsaicina, il diavolo piccante, si serve delle vie del dolore.
Ebbene sì! Non era una parola come un’altra, l’iniziale aggettivo letale accostato al piccante: la capsaicina si lega effettivamente a recettori che, provocando l’ingresso di ioni calcio nelle cellule, trasmettono segnali di dolore. Inoltre, dal momento che questi stessi recettori sono attivati anche dal calore, i cibi piccanti caldi risultano essere ancora più piccanti. Analogamente, essi stessi danno l’impressione di essere di fuoco. (Nota: è lo stesso meccanismo per cui le mentine sono “fredde”!)
Gli ioni calcio hanno un’importanza enorme per le cellule e sono alla base di numerosi meccanismi fisiologici, dalla contrazione muscolare alla trasmissione di segnali nervosi, all’immissione di ormoni nel sangue. Quando entra calcio nella cellula succede sempre qualcosa: nel caso dei recettori del dolore la risposta consiste appunto nel trasmettere un segnale doloroso.
Un eccesso di capsaicina (e quindi un eccessivo ingresso di calcio) può addirittura uccidere le cellule che espongono il recettore; ecco perché, pare, chi è abituato a mangiare molto piccante tende a sopportarlo maggiormente: ne sente meno l’effetto!
Un articolo di “Le Scienze”, firmato da Dario Bressanini, ci informa su come spegnere il fuoco, qualora esso dovesse scoppiare: “La capsaicina non è solubile in acqua, perciò è perfettamente inutile berne a litri per alleviare il bruciore. […] è meglio mangiare pane, che rimuove la capsaicina dai recettori per azione fisica. La buona solubilità in alcool della diabolica sostanza può suggerire come rimedio una birra ghiacciata, ma la birra non è abbastanza alcolica, e sconsiglierei, a metà pasto, un bicchierone di limoncello ghiacciato. La capsaicina, però, si scioglie ancora meglio nei grassi, per cui potete attenuare la piccantezza dei vostri spaghetti con una robusta grattugiata di parmigiano o di grana. In più la caseina agisce da "spazzino", avvolgendo la capsaicina e rimovendola dai recettori.”
In conclusione, quindi: il piccante NON è un sapore! Per cui smettetela di chiedermi se mi piace, è come mi steste domandando se per me è piacevole quando mi mordo la lingua. (Ecco no, non mi piace, fa male!)
di Silvia Morini
Studentessa di scienze biologiche con la passione per la scienza e per le sue infinite applicazioni al cibo (ma un’antipatia per il piccante… si era capito?). Qualsiasi domanda su ciò che, dell’articolo, non dovesse essere chiaro o non corrispondesse a quanto già sapete sull’argomento, è bene accetta! E può essere fatta tramite Facebook o scrivendo a s.morini1@campus.unimib.it
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