Problemi di siccità su TRAPPIST-1
A soli 40 anni luce dalla nostra amata Terra si trova TRAPPIST-1, una nana rossa ultrafredda, che a Febbraio di quest’anno abbiamo scoperto essere il fulcro della rotazione di sette esopianeti dalle dimensioni comparabili con la terra. In particolare tre di questi rientrano nella cosiddetta “zona abitabile”: questo implica che si trovino ad una distanza dalla stella tale da permettere la presenza di acqua allo stato liquido, e quindi della vita. Questa classificazione però non dà alcuna informazione sull’effettiva presenza di acqua sulla superficie del pianeta o di un’atmosfera in grado di proteggere il pianeta e regolarne la temperatura: gli ultimi studi della NASA cercano di rispondere proprio a questi interrogativi.
TRAPPIST-1 è fondamentalmente diversa dal nostro sole: oltre ad essersi formata decisamente prima del nostro sistema solare (dagli ultimi studi si parla di un’età compresa tra i 5.4 e i 9.8 miliardi di anni rispetto ai 4.5 miliardi di anni del nostro sistema) la sua massa sfiora l’8% quella solare e la sua temperatura non raggiunge neanche la metà di quella della nostra stella (si stima attorno ai 2550 Kelvin): nonostante la temperatura minore, le nane rosse emettono molte più radiazioni ultraviolette. Questo tipo di radiazione, particolarmente energetica, è in grado di scindere il vapore acqueo in idrogeno ed ossigeno (in un processo che prende il nome di fotolisi), ma non solo. Se abbastanza energetica (si parla di radiazione XUV) è in grado di ionizzare gli atomi, cioè liberare gli elettroni che li compongono, accellerandoli al punto da farli sfuggire dall’atmosfera. Dato che cariche opposte si attraggono, lo ione rimasto (quindi l’atomo che ha perso l’elettrone) tenderà a seguire gli elettroni in fuga, sfuggendo alla morsa gravitazionale del pianeta.
Questo processo colpisce interessa particolarmente i pianeti più interni, TRAPPIST-1b and TRAPPIST-1c, che ricevono il quantitativo maggiore di energia ultravioletta: la NASA stima che questi pianeti possano aver perso un quantitativo di acqua pari a 20 volte l’intero volume degli oceani della Terra. Per fortuna la situazione non è così disastrosa per i pianeti e, f, e g, ovvero i pianeti della zona abitabile.
Purtroppo per questi pianeti i dati non sono sufficienti a stimare la presenza di acqua in superficie: per avere risposte dobbiamo aspettare il lancio del James Webb Telescope, che si stima essere fino a 100 volte più potente di Hubble, di cui è l’erede. Niente “tracce di acqua” quindi, ma la possibilità che questa sia ancora presente sui pianeti in questione.
Le brutte notizie sul fronte spaziale continuano: sembra infatti che il pianeta nella zona abitabile più vicino (a soli 4 anni luce da noi), Proxima b, abbia completamente perso la propria atmosfera. Per arrivare alla conclusione gli scienziati, non potendo osservare direttamente l’atmosfera del pianeta a causa della sua particolare orbita attorno alla propria stella, Proxima Centauri, sono dovuti ricorrere ad un modello computazionale.
L’idea, in soldoni, è quella studiare l’effetto che le tempeste di radiazioni prodotte continuamente da Proxima Centauri (anch’essa una nana rossa ultrafredda come TRAPPIST-1) avrebbero sull’atmosfera terrestre: i risultati suggeriscono che nella migliore delle ipotesi (temperature minime e campo magnetico totalmente chiuso) l’intera atmosfera evaporebbe in circa due miliardi di anni, a discapito dei 4 miliardi di anni del pianeta stesso. Se questo risultato fosse confermato sarebbe decisamente troppo tardi per un viaggio su Proxima b.
Sia per TRAPPIST-1 che per Proxima Centauri, il problema delle nane rosse ultra fredde è la temperatura: essendo questa così bassa i pianeti per trovarsi in una zona abitabile devono percorrere traiettorie molto strette, anche minori a quella del nostro Mercurio, che è il pianeta più vicino al Sole. Questo però espone i pianeti candidati alla vita ad una tempesta di radiazioni che rischia di strappare via l’atmosfera se non controbilanciata da eventi come bombardamenti di comete o eruzioni vulcaniche massive.
Mentre la ricerca di pianeti abitabili continua, questi studi ci danno un’idea di quanto incredibili siano state le condizioni che hanno portato allo sviluppo della vita sulla Terra: ti senti un poco più fortunato oggi?
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