Tecnologia

Animali cibernetici e dove trovarli

Nel 2012 il gatto Orville viene investito da un’auto. Bart Jansen, suo amato padrone, decide che una semplice sepoltura sarebbe eccessivamente riduttiva. Quindi, ispirandosi al nome del proprio felino, Orville Wright (annoverato, assieme ai fratelli, tra i più grandi aviatori dell’epoca pioneristica) decide di farlo volare. Così, con l’aiuto dell’ingegnere Arjen Beltman, trasforma la salma del felino in un fiammate drone quadricottero.

La risposta del pubblico è incredibile: l’ “Orvillecopter”, così come lo chiama amorevolmente il padre putativo, è un successo. Quindi, dopo aver trasformato anche uno struzzo ed un topolino, decide di fare un passo avanti. "Se mai dovessi volare, sarà in qualcosa di molto strano” racconta alla BCC, “Così ho cercato un animale nel quale una persona possa sedersi e volare. Abbiamo una mucca al momento. [...] Diventerà qualcosa come un porta passeggeri bovino, ma volante."

Quindi se è vero che gli asini ancora non volano, ci siamo quasi. Ma siamo nel ventunesimo secolo e il rapporto tra mondo animale e tecnologico non può limitarsi a dotare delle salme di ali telecomandate: e così non è.

Basti pensare a Grégoire Courtine, che da più di una decade fa il pendolare tra Losanna e  Pechino dove conduce una ricerca il cui fine è quello di riportare a camminare primati (aka scimmie) che hanno subito lesioni al midollo spinale. La minore restrizione normativa cinese rende Pechino il posto perfetto per effettuare gli esperimenti, i cui risultati sono stati pubblicati su Nature.

Il lavoro, in sintesi, è stato quello di dotare i soggetti di un impianto cerebrale che decodifichi i “segnali” motori e li invii, senza fili, a degli elettrodi impiantati nella colonna vertebrale inferiore, innescando il moto nei muscoli delle gambe. I primati sottoposti all’esperimento hanno riacquistato non solo la coordinazione ma anche la funzione di sostegno del peso, fondamentale per la locomozione. Un lavoro incredibile, che subito porta a interrogarsi su una possibile applicazione umana. E mentre Courtine ha già iniziato una “prova” (trial) in Svizzera, usando un derivato ridotto dell’impianto su due persone con il midollo spinale lesionato, Erik G. Sorto può già testimoniare di aver sperimentato una neuroprotesi. L’uomo, colpito da un’arma da fuoco che gli ha causato un irreparabile danno spinale, è paralizzato dal collo in giù da più di dieci anni: nell’articolo su Science si parla di come, grazie all’impianto di microelettrodi nella corteccia motoria, sia stato in grado di afferrare un bicchiere e berci grazie a un braccio robotico che comanda solo con il pensiero.

Ma non è finita qui: sempre su Nature possiamo leggere di come un gruppo di ricercatori del Salk Institute (California) sia riuscito, tramite un’ avanzatissima tecnica di editing genetico, a curare la cecità di un gruppo di topi causata da retinite pigmentosa, una degenerazione della retina ereditaria che causa la cecità per colpa di mutazioni nei geni che codificano il funzionamento dei fotorecettori. Per raggiungere l’obiettivo gli scienziati hanno dovuto trovare un modo per tagliare un punto preciso del DNA (tecnica CRISPR-Cas9), agganciare il gene che potesse permettere la vista (tramite il “pacchetto d’inserimento” HITI) e infine ricucire il tutto (i ricercatori hanno trovato il modo di attivare una via cellulare di riparazione del DNA chiamata NHEJ). Un traguardo unico in questo ambito sperimentale.

Scimmie che tornano a camminare, ratti che tornano a vedere.
L’uomo è davvero così caritatevole?

Dovremmo chiedercelo dopo aver conosciuto Dr. Hirotaka Sato, ingegnere aereospaziale della Nanyang Technological University. Come si legge in un altro articolo sempre qui su MotherBoard, dopo aver studiato la configurazione muscolare, la rete neuronale e il controllo delle gambe dei coleotteri, i ricercatori hanno fatto in modo che gli insetti potessero essere controllati in remoto da un computer. Tramite alcuni elettrodi in posizioni nevralgiche o con gli opportuni segnali i ricercatori possono manipolare l’andatura, la velocità, la direzione di volo e molti altri aspetti del moto. In pratica i coleotteri diventano come dei robot con nessun controllo sulle proprie funzioni motorie: i muscoli sono ancora controllati dagli insetti stessi, ma questi non hanno più controllo su come i muscoli si muovano, non possono più “decidere”.

 

Le possibili implicazioni sono quanto mai pratiche: dotando gli insetti di sensori sensibili al calore sarebbe possibile utilizzarli, ad esempio, come dei minuscoli droni in grado di individuare persone in un’investigazione criminale (aka terroristi nascosti) o persone intrappolate a seguito di catastrofi naturali (pensiamo ai terremoti).

C’è una differenza sostanziale con tutti i casi precedenti: nonostante il fine ultimo di tutte le ricerche citate sia quello di trovare, in un futuro che si spera prossimo, un’applicazione sull’uomo delle miracolose tecnologie, la sperimentazione delle stesse (con tutte le normative del caso) è di effettivo beneficio per gli animali che possono tornare a camminare e a vedere. Qui si parla di qualcosa di diverso: stiamo cancellando il volere di un essere vivente, ma in cambio non gli stiamo dando niente. Non che il progresso scientifico si debba basare sul karma, ma qui sembra di oltrepassare una linea invisibile che è fatta di etica e responsabilità.

Se non ne siete convinti, vi lascio con uno scambio di battute tra il giornalista di Motherboard e uno degli scienziati dell’equipe di Hirotaka:

"Pensa che l'animale si dimeni/lotti per cercare di interrompere queste stimolazioni?"

"Sì, penso di sì, ma comunque obbedisce alla frequenza"

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