Filosofia

Si può comprendere il mondo senza gli dèi?

Se si riflette sulla nascita del pensiero scientifico, si pensa immediatamente alla rivoluzione condotta nel XVI e XVII secolo da Galileo, Keplero e Copernico. In realtà, però, l’atteggiamento che porta alla scoperta scientifica, così come la predisposizione mentale allo sviluppo di una teoria scientifica, risale all’antica Grecia. La rivoluzione scientifica, infatti, ha dato origine al pensiero deduttivo e, più in generale, al metodo scientifico. Senza di esso, oggi, la scienza non esiterebbe. Non esisterebbe la tecnologia. Non sapremmo cosa significa il termine innovazione. Il termine digitalizzazione. Non sapremmo dare una definizione di epistemologia scientifica. Non saremmo in grado di riconoscere che le ultime scoperte scientifiche non sono altro che la più moderna e corretta visione del mondo. Una visione però incerta e provvisoria. Destinata a evolvere al pari del cosmo. Senza Galileo, non avremmo il metodo con cui provare a comprendere come funziona il mondo. Senza la rivoluzione scientifica, non saremmo in grado di costruire e sviluppare la nostra immagine del mondo: una struttura concettuale per pensare all’uomo e a tutto ciò che lo circonda. Una struttura moderna, efficace e consistente con ciò che sappiamo e impariamo quotidianamente con le nostre attività sperimentali.

Senza l’antica Grecia, però, la rivoluzione scientifica non sarebbe esistita. Perché gli antichi Greci hanno dato il via alla più importante rivoluzione scientifica: interrogarsi. La scienza, senza curiosità, è inutile. Crolla. È priva del suo unico sostentamento. Il dubbio, la curiosità e il desiderio di ricercare il logos nascosto auto-alimentano lo stesso pensiero scientifico. Come in una sorta di circolo virtuoso: la curiosità, il logos e il mondo si fondono magicamente e, abilmente mescolati, portano alla definizione di quello che oggigiorno chiamiamo scienza. I Greci ci hanno insegnato a razionalizzare i problemi. A provare a dare un senso e una definizione al mondo. E proprio camminando sulla “strada della razionalità” tracciata dai Greci – in particolare da Epicuro - il celebre poeta e filosofo latino Lucrezio scrive uno straordinario poema didascalico, nel quale si assiste a una celebrazione del logos.

“Quae bene cognita si teneas, natura videtur
libera continuo dominis privata superbis
ipsa sua per se sponte omnia dis agere expers”

Se tieni in mente queste verità,
libera ti apparirà in un istante la natura,
priva di superbi padroni,
compiere spontaneamente ogni suo atto
da sé, senza influssi degli dèi.

Lucrezio, De rerum natura, libro II, vv. 1088-1091

Come già detto, i Greci hanno dato il via alla prima rivoluzione scientifica. Sono stati i primi a provare a cercare la verità con un atteggiamento scientifico. Usando definizioni, assiomi e postulati, Euclide ha introdotto e studiato la geometria. Talete ha individuato nell’acqua l’archè, il principio primo che ha dato origine all’universo. Anassimandro ha cercato di dare un’interpretazione naturalistica e fenomenologica al mondo che ci circonda. Non è forse rivoluzionario? Ma c’è molto di più. I Greci, infatti, ci hanno implicitamente posto un problema che, ancora oggi, resta aperto e scottante. Un tema su cui fisici, medici, scienziati, uomini di cultura e teologi si confrontano quotidianamente. È possibile definire il mondo senza Dio? È possibile dare una corretta interpretazione dell’ordine cosmico, senza ricorrere all’immagine antropomorfa di Dio?

Il tema è estremamente delicato e non pretendo - anche perché non ne avrei le competenze – di esaurirlo in poche righe o – ancora peggio – di dare una risposta definitiva. L’intento è, al solito, suggerire qualche spunto di riflessione, elaborando congetture e analizzando diversi punti di vista. Il problema posto sul tavolo non è una critica alla religione o della funzione della religione all’interno della società umana, quanto piuttosto un’analisi razionale sulla necessità scientifica di dare un ordine al mondo. Un ordine che, come vedremo, può prescindere dalla presenza di un qualsiasi ente divino.
Oggigiorno il tema viene affrontato dai più grandi esponenti del mondo della scienza, della religione e della cultura: Odifreddi, celebre matematico e saggista che si dichiara ateo, afferma di non credere nel Dio cristiano. In un Dio personalizzato e personificato. Odifreddi – al pari della grande maggioranza degli uomini di scienza – crede che il mondo non sia casuale, ma che piuttosto esista un ordine naturale (non lontano dal concetto greco di logos) che ognuno di noi debba ricercare. Un ordine che, però, non deve essere ricondotto a un ente superiore personificato. La differenza concettuale è netta. È questo il motivo per cui – sempre Odifreddi – è convinto che prima della nascita e dopo la morte non ci sia assolutamente nulla. E, secondo il matematico piemontese, la cosa non ci deve in alcun modo preoccupare. Perché la morte non è altro che il prezzo che l’uomo deve pagare per il fatto di avere una vita interessante.
La continua tensione tra la ricerca dell’ordine supremo che governa il mondo e il desiderio di attribuire la giusta causa ai fenomeni che ci circondano ha portato a diverse elucubrazioni, fin dall’antica Grecia. Su questa scia, per esempio, Anassimandro dà inizio a qualcosa di nuovo: una lettura del mondo in cui la pioggia non è decisa da Zeus, ma è causata dal sole e dal vento; il cosmo non nasce da una decisione di un ente sovrannaturale, ma da una palla di fuoco. Il filosofo greco cerca di spiegare il mondo dall’origine del cosmo fino all’origine delle gocce di pioggia, senza fare alcun riferimento agli dèi. Fin dai tempi della antica Grecia, dunque, la natura della pioggia – così come di tutto il mondo fenomenico – diventa oggetto di una nuova curiosità, che porta a investigarne la relazione con l’intera Natura, prescindendo dalla sfera trascendentale e divina che, per i credenti, è l’unica forma di interpretazione del mondo. E così questa interpretazione naturalistica va a impattare direttamente e profondamente sulla funzione intellettuale di identificazione concettuale fornita dal pensiero religioso. Questa funzione è implicitamente messa in dubbio. Fin dal mondo antico, dunque, si apre il problema sopracitato: per spiegare il mondo, sono necessari gli dèi? Per comprendere il mondo, serve un Dio, oppure no?

La tradizione tramanda che Talete, per la soddisfazione e gioia di avere trovato la dimostrazione di un teorema di geometria (“I due segmenti che uniscono gli estremi A e B di un diametro di un cerchio a un altro punto qualunque P sul cerchio formano tra loro un angolo retto”) abbia sacrificato un toro a Zeus. Ma il problema è più ampio. Viene indagato il problema della comprensibilità del mondo. Che è un problema di conoscenza. Il problema viene affrontato e formulato in una forma che esclude completamente la rilevanza del divino. La rivoluzione dell’antica Grecia consiste nella loro innovativa proposta di spiegazione del cosmo, formulata interamente in termini naturalistici e fisici. Perché essa prescinde esplicitamente e radicalmente da qualunque riferimento alla divinità e apre la porta a tutta la ricerca successiva di spiegazioni che prescindono, appunto, dal divino. E il tema è estremamente moderno. Perché la Natura, la Madre Natura che governa costantemente il mondo con i suoi ritmi e con le sue imprevedibili decisioni, viene quotidianamente modellizzata in termini matematici e fisici. Una descrizione che trascende l’esistenza di una natura divina. Per la comunità scientifica è difficile pensare a un Dio, qualsiasi esso sia, perché la più moderna descrizione e modellizzazione del mondo non ne richiede la presenza. Non ce ne è alcuna evidenza scientifica, fisica o matematica. Questo non significa che la fede degli uomini in un ente sovrannaturale vada condannata, ma piuttosto studiata e analizzata a fondo. Perché è antitetica rispetto alla descrizione scientifica, fin dall’antica Grecia, quando, per la prima volta, l’uomo ha cercato di dare una visione imparziale e super partes del cosmo. Della vita. Su questo argomento, possiamo confidare anche su un grande esperto, Sant’Agostino:

“[Anassimandro] pensava che tutti i mondi siano soggetti ad un processo alterno di dissoluzione e rigenerazione, ciascuno dei quali continua per un periodo di tempo più lungo o più corto, secondo la natura del caso; e, come Talete, non attribuisce nulla della produzione di tutta questa attività ad una mente divina.” – 

De Civitate Dei, libro VIII, cap. 2.

Se anche Agostino – che non esitava a cercare tracce di Dio in tutti filosofi antichi e pagani – è così drastico riguardo il mondo Greco, è chiaro che non vi sia nulla in esso che egli abbia potuto ritenere come consonante con il mondo religioso. Anche se nei frammenti di Anassimandro non vi è un’esplicita messa in discussione del divino, l’intero progetto conoscitivo è basato sulla radicale presa di posizione di ignorare gli dèi. Come se lo stesso filosofo-scienziato non avesse bisogno di questa ipotesi nella costruzione del proprio pensiero. Indipendentemente da ogni critica esplicita del sapere religioso, questa posizione non può non aprire il conflitto con il pensiero dominante, che ha le sue fondamenta negli dèi. È un confilitto che si apre allora e che avrà una lunga e dolorosa storia. Una storia che dura ancora oggi e che, probabilmente, non avrà mai fine. Perché il tema è ancora oggi attuale. L’antica Grecia - e Anassimandro in particolare - ha aperto un problema irrisolto: la descrizione del mondo prescinde da Dio. Nel progetto e nell’ordine del mondo non c’è esplicita traccia di Dio. Le equazioni dei matematici e dei fisici funzionano perfettamente. Eppure l’uomo ha l’esigenza di affidare il proprio destino a un Dio. Un Dio cristiano, un Dio cattolico, islamico o un qualsiasi ente divino. È una continua lotta e tensione tra emisfero destro e emisfero sinistro. Tra fede e ragione. Una sfida a colpi di logos e anima. Una sfida che, ancora oggi, non ha trovato soluzione.

Perché, davvero, l’esistenza di Dio può essere considerata necessaria e razionale?

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