Il diavoletto di Maxwell – La termodinamica in un paradosso
Immagina che un giorno un tuo caro amico venga a parlarti e che con una semplice congettura riesca a mettere in crisi tutto ciò in cui hai sempre creduto.
È un po’ quello che è avvenuto quando James Clerk Maxwell propose questo esperimento mentale:
Se concepiamo un essere con una vista così acuta da poter seguire ogni molecola nel suo movimento, tale essere i cui attribuiti sono essenzialmente finiti come i nostri, questi potrebbe fare ciò che oggi è impossibile a noi.
L’idea alla base è quella di avere un esserino capace di controllare una botola che divide due contenitori. Entrambi contengono lo stesso gas alla medesima temperatura.
Data la natura statistica del gas, è ragionevole immaginare delle molecole più veloci ed altre più lente.
Il diavoletto ha il compito di aprire la botola ogni qual volta una molecola ad alta velocità si dirige verso la parete. Dopo un intervallo di tempo si sarà creata una situazione per cui tutte le molecole più veloci sono in uno dei due contenitori e quelle più lente nell’altro.
Come ben saprai, la temperatura all’interno di un sistema può essere interpretata come non altro che l’agitazione, detta appunto termica, delle sue componenti: più le molecole si muovono velocemente, più la temperatura misurata sarà elevata.
Al termine del suo lavoro il diavoletto sarà stato capace quindi di confinare il gas più caldo da una parte e quello più freddo dall’altra.
Maxwell propose questo esperimento intellettuale circa 150 anni fa come una sorta di sfida: voleva verificare se il secondo principio della termodinamica fosse veramente un principio e come tale inviolabile.
Questo esperimento mette in crisi realmente la nostra concezione del secondo principio della termodinamica, che nella formulazione più utilizzata afferma che:
E’ impossibile trasferire calore da un serbatoio più freddo ad uno più caldo senza, allo stesso tempo, convertire una certa quantità di lavoro in calore. ((Principio di Clausius))
Il quesito di Maxwell pone come ipotesi fondamentale che la botola abbia un movimento totalmente privo di attrito e che il diavoletto non compia all’interno del sistema alcun tipo di lavoro. Il demone sembra esser riuscito così a fare ciò che il secondo principio vieta in maniera categorica.
Che la termodinamica sia una materia un po’ particolare, non sono l’unico a crederlo. Pensa che Sommerfield affermò:
La termodinamica è una materia strana. La prima volta che inizi a studiarla non la coprendi a fondo. La seconda pensi di aver capito tutto, a meno di due o tre piccoli concetti. La terza volta che la riprendi sai benissimo di non averla capita, ma a questo punto inizi ad essere abituato e il fatto di non capire non ti preoccupa più.
Dobbiamo necessariamente giungere ad una soluzione, sperando di non doverci rassegnare a credere che il secondo principio sia sbagliato. Il dispiacere non sarebbe legato tanto alla necessità di dover creare una nuova teoria valida, ma piuttosto al fatto che sul secondo principio si basa l’intera concezione che abbiamo del mondo e dell’universo.
Ti faccio qualche esempio. Un formulazione analoga al secondo principio è:
E’ impossibile, mediante processo ciclico, prelevare calore da un serbatoio e convertirlo in lavoro, senza contemporaneamente trasferire calore ad un serbatoio più freddo ((Principio di Thomsen))
Su questa affermazione si basa tutto ciò che implica trasformazioni energetiche, in cui siano presenti contributi termici. Non mi riferisco solo a macchine come frigoriferi o riscaldatori, in queste poche righe sono comprese tutti i sistemi che permettono la produzione di energia elettrica e la conversione di cicli termici in moto (ne sono un esempio i motori).
Nella sua forma classica il secondo principio invece afferma che l’entropia di un sistema a pareti adiabatiche (cioè che non permettono scambi di calore) non può mai diminuire, ma aumenta durante un processo irreversibile e rimane costante in un processo reversibile.
Questa forse è la formulazione più astrusa con l’introduzione di concetti come l’entropia e processi reversibili ed irreversibili.
Siamo qui per capire, dunque capiamo.
Con processo di tipo reversibile, s’intende un fenomeno che non porta alcuna trasformazione all’interno dell’universo. I processi reversibili sono tutti quelli in cui è possibile introdurre il concetto di simmetria rispetto inversione temporale: invertendo stato iniziale e stato finale e cambiando il verso delle quantità vettoriali, non sarà possibile determinare e capire quale sia il processo diretto e quello inverso. Ad esempio il moto di un pendolo, trascurando gli attriti, può essere visto come un processo reversibile; l’espansione di un gas in un contenitore più grande invece un processo irreversibile.
Dal punto di vista classico l’entropia rappresenta il rapporto tra il calore ceduto durante un processo reversibile e la temperatura del sistema. Così non è molto bello, vero, ma considerando che dal punto di vista statistico lo stato di entropia indica il grado di disordine all’interno del sistema, tutto diventa più tangibile.
L’entropia, che in processi irreversibili tende ad aumentare, è per cui la funzione che ci permette di dare una direzionalità al tempo, permettendoci di capire il verso nel quale scorre (figo eh?). Un processo irreversibile, visto dopo un’inversione temporale, risulterà effettivamente strano e poco probabile, così da permetterci di individuare in un fenomeno ciò che è avvenuto dopo e ciò che è avvenuto prima.
È per questo che spesso si sente in giro (senza capirne il senso) che l’entropia dell’universo debba aumentare. Se nell’universo sono infatti presenti solo processi reversibili ed irreversibili e i primi non causano variazione dell’entropia mentre i secondi la fanno aumentare, necessariamente all’interno del “sistema universo” (estensione massima di un sistema) l’entropia con lo scorrere del tempo dovrà crescere.
Analizziamo il paradosso.
Partiamo dalla situazione in cui sono presenti due contenitori contenenti lo stesso gas, ma a temperatura diverse; nel momento in cui si metteranno in comunicazione le particelle dei due gas scambieranno energia per mezzo di urti ripetuti, fino a raggiungere una situazione di equilibrio macroscopico in cui si è raggiunta una velocità media e, all’interno del sistema, una temperatura definita. Il mescolarsi delle particelle con diverso “comportamento”, porta ad aumentare disordine del sistema con conseguente crescita dell’entropia: il processo è irreversibile!
L’inversione temporale non potrà essere applicata a questo caso. Allora come fa il diavoletto senza fornire energia al sistema a riconfigurarlo nel suo stato iniziale, cioè riportando le molecole più veloci da un lato e le più lente dall’altro?
E’ questo il dilemma che ha fatto tribolare per circa un secolo tutti i fisici.
Solo con l’avvento della meccanica quantistica e con l’introduzione del concetto di fotone si è giunti ad una valida spiegazione, che è anche la più semplice tra tutte le possibili. ((Puoi trovare un’analisi più completa del diavoletto di Maxwell sul LINK, su questa tesi sono riportati anche delle modellizzazioni reali per poter concepire l’esistenza di un meccanismo che riproduca il comportamento del diavoletto))
Per poter vedere le molecole è necessario l’arrivo di fotoni sulle molecole e il ritorno degli stessi all’occhio del demone. Questo implica necessariamente che all’interno del sistema debba essere introdotta una forma di energia dall’esterno così che il secondo principio non venga violato.
Per completezza c’è da dire che secondo il teorema di ricorrenza del Poincarè esiste una probabilità non nulla, in tempi infinitamente lunghi ma pur sempre finiti, che un sistema possa evolvere fino a ricondursi in uno stato del tutto uguale a quello di partenza.
Quest’ultimo teorema contraddice il secondo principio?
Sperimentalmente qualsiasi tentativo di verifica sarebbe vano in quanto il tempo di verifica risulterebbe sempre eccessivamente lungo; affinché un solo cm3 di gas possa riportarsi spontaneamente nelle condizioni iniziali bisognerebbe ad esempio considerare un tempo notevolmente superiore all’età stimata dell’Universo (1017 s).
Omnia fert aetas
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