Filosofia

Il tempo non esiste

Fin dall’antica Grecia l’uomo si interroga su quale sia il vero significato del tempo: “Che cosa è il tempo? Il tempo è assoluto o è, invece, un concetto meramente soggettivo? Senza la vita, esisterebbe il concetto di tempo?”

All’alba del 2015 si può ancora denunciare l’impossibilità di risposte certe e definitive a questi importanti quesiti. Se da un lato il tempo è al centro di accese dispute filosofiche (con il consueto egoismo umano), dall’altro, è da sempre il fulcro che permette l’equilibrio (o, almeno, presunto tale) di molte equazioni fisiche, che l’uomo ha posto alla base della propria conoscenza del mondo e della realtà. Questo perfetto impasto di filosofia e fisica, però, non ha ancora assunto una consistenza e una forma definitiva ed è forse questo il motivo per cui il “concetto del tempo”, avvolto da una misteriosa nebbia che ne impedisce una chiara lettura, resta una sfida molto affascinante e avvincente per molti fisici e filosofi.

Se qualcuno non mi chiede cosa sia il tempo, io so cosa è. Ma se qualcuno mi chiede cosa sia, non lo so più”: questa è la risposta che Sant’Agostino soleva dare ai suoi discepoli che lo incalzavano. Il religioso originario di Tagaste (attuale Algeria), ha cercato di dare una propria interpretazione del tempo, definendolo come un concetto che sfugge dalle mani dell’uomo e dunque fallace: prima della creazione dell’uomo e del mondo, il tempo non esisteva; infatti, esso è un concetto che appartiene alla sfera dell’anima dell’uomo che è il vero e proprio soggetto che misura il cambiamento e i tempi (passato, presente e futuro).

Tra il Settecento e l’Ottocento, il filosofo tedesco Immanuel Kant dà un importante contributo alla ricerca filosofica sul concetto del tempo. In un clima culturalmente attivo e stimolante, durante il quale il principale compito dell’intellettuale è la ricerca e la diffusione del sapere mediante il solo utilizzo dei “lumi della ragione” (Illuminismo), Kant rivolge una pesante critica verso la metafisica, definita un “sapere illusorio”. La vera conoscenza si basa, infatti, su giudizi sintetici e a priori, categorie che, agendo separatamente, costituiscono un’unica struttura pensante: “ich denke”, letteralmente “io penso”. Il filosofo sottolinea, però, che le categorie hanno un’applicazione solamente fenomenica (dal termine phainomenon, “ciò che appare”) ed empirica: si deve dunque abbandonare il loro uso trascendente (oltre i fenomeni): il rischio è infatti quello di attribuire alla metafisica un carattere universale e assoluto, giungendo così ad un clamoroso errore. In questo contesto, Kant descrive la fisica come una scienza di tipo fenomenico, una scienza per l’uomo e per gli esseri con una struttura mentale paragonabile a quella umana. La fisica, infatti, al pari della matematica, è una scienza sintetica e a priori, nella quale le categorie kantiane permettono una sintesi tra fenomeni spaziali e temporali, giungendo così a collegamenti universali e dunque ad una scienza assoluta: attraverso l’intelletto, l’uomo lega i diversi fenomeni spazio-temporali e arriva alla conoscenza della natura. Secondo questa visione filosofica, dunque, lo spazio e il tempo sono le due forme a priori della nostra conoscenza: per Kant, lo spazio ordina i fatti e i fenomeni esterni e non ha un legame con l’esperienza interiore; il tempo, invece, è la forma fondamentale della nostra esperienza interiore: infatti, l’esperienza esterna viene interiorizzata attraverso la memoria.

Il tempo, dunque, assume una forte accezione soggettiva (è una coordinata soggettiva, interna alla mente umana); esso appartiene al soggetto umano e fa sì che la realtà, che l’uomo cerca di conoscere, diventi un fenomeno (“Il tempo è la condizione a priori di tutti i fenomeni”). Con questa dottrina, Kant entra in forte polemica con la concezione di spazio e tempo di Newton, definiti dallo scienziato inglese come “gli organi di senso di Dio”, dunque oggettivi e infiniti.

Per il matematico e filosofo Leibniz, invece, il tempo e lo spazio sono relazioni tra concetti e non sono quindi puramente oggettivi: il tempo è una relazione di successione (tra il prima e il dopo), mentre lo spazio è una relazione di coesistenza o posizione (alto, basso, destra e sinistra).

Questo contrasto tra le diverse idee filosofiche, dimostra come, a partire dal 1700, vi sia un forte cambiamento nel pensiero dell’uomo: il vero soggetto del processo di conoscenza è la mente umana, che assume dunque un ruolo attivo. Scompare il concetto di “adaequatio intellectus ad rem” in favore di una filosofia, nella quale gli oggetti sono componenti soggettivi della nostra conoscenza (l’oggetto della conoscenza si adatta alla mente umana).

Sulla scia di questa dimensione soggettiva e interiore del tempo, alla fine dell’800 il filosofo Henri Bergson distingue il concetto di “tempo vissuto” da quello di “tempo interiore”. Bergson non nega il metodo scientifico e l’utilità indiscussa della fisica ma afferma che, affianco a questi validi strumenti, vi è una dimensione interiore e spirituale (un richiamo a Sant’Agostino?). Il tempo, dunque, può essere inteso in due differenti modi: il tempo della scienza, misurato con strumenti sempre più all’avanguardia (un tempo spazializzato in cui tutti gli istanti sono uguali tra loro), e il tempo vissuto, la cui concezione cambia in base alla nostra condizione e alla nostra coscienza interiore. Il tempo vissuto si contrappone al tempo astratto e spazializzato, definito come “una collana di perle tutte uguali tra loro”, in netta antitesi con il “gomitolo del tempo vissuto”, nel quale tutti gli istanti, seppur diversi, hanno la medesima importanza.

"La persistenza della memoria", rappresentazione su tela dell'idea del tempo relativo per Salvador Dalì.

In fisica si ritrova un simile groviglio di idee e teorie riguardanti il concetto di tempo: nel corso dei secoli, infatti, molti fisici si sono domandati quale fosse il vero senso del tempo in questo universo: una delle più interessanti teorie, di cui il professor Carlo Rovelli è fautore, sostiene una tesi fondata e rivoluzionaria, secondo la quale il tempo non esista (si parla di gravità quantistica a loop – LQG- dal termine inglese loop quantum gravity).

Per la fisica, il tempo è la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi: esso induce la distinzione tra passato, presente e futuro.

La prima grande rivoluzione sul concetto di tempo si ha nel 900, con la celebre teoria relativistica di Albert Einstein. Il fisico si accorge che tra “passato” e “futuro” c’è un concetto di cui nessuno si era precedentemente accorto: non c’è soltanto un effimero presente, ma molto di più. C’è qualcosa che non è né passato né futuro, un qualcosa che dipende dalla distanza e che non si può sempre percepire. Se stiamo parlando nella stessa stanza, questo l’intervallo che “non è né passato né futuro” è di qualche nanosecondo (trascurabile). Se stiamo telefonando ad un amico negli Stati Uniti, invece, questo intervallo di tempo dura un millisecondo, ancora decisamente troppo per notarlo. Se, però, cerchiamo di comunicare con Marte, ci accorgiamo che il “né passato né futuro” dura un quarto d’ora. Questi quindici minuti non sono né passato né futuro ma costituiscono una zona intermedia che ha delle conseguenze importanti: significa che non si può affermare che in un determinato istante di tempo si stiano verificando dei fenomeni nell’universo perché, grazie ad Einstein, sappiamo che il concetto di “un determinato istante di tempo” non esiste nell’universo. Con la celebre teoria della relatività si può dunque spiegare perché due orologi, uno in moto relativo rispetto all’altro, scandiscano il tempo in maniera differente (seppure questa differenza sia impercettibile) oppure perché due gemelli, che vivono in luoghi diversi, o che sono in moto relativo, quando si incontrano non hanno più la stessa età. È comunque importante sottolineare che sulla terra questi “accorgimenti relativistici” sono trascurabili, soprattutto a basse velocità (ma tu questo Billy dovresti già saperlo).

A proposito di questa teoria, ormai universalmente riconosciuta, nel 1908 il matematico Herman Minkowski ha scritto: “D’ora innanzi lo spazio in sé e il tempo in sé sono condannati a dissolversi in nulla più che ombre, e solo una specie di congiunzione dei due conserverà una realtà indipendente: lo spazio-tempo”. Minkowski intende dire che gli eventi del mondo non sono organizzati in un grande spazio e non cantano tutti in coro seguendo il “tempo” di un unico direttore d’orchestra, ma, al contario, ogni sequenza di eventi ha il suo tempo.
La relatività generale ha fatto dunque un importante passo in avanti rispetto alla concezione del tempo di Newton (il tempo che passa anche quando non succede niente). La teoria sembra quasi tornare alla concezione di Aristotele, secondo cui chiamiamo “tempo” il solo modo di tenere conto di come si muovono le cose.

Rovelli, però, afferma che: “La meccanica quantistica, e le teorie a essa collegate, descrivono il tempo come una sorta di schiuma. La meccanica quantistica è stata formulata e funziona bene usando il tempo Newtoniano. Quando però si comincia a tenere conto del fatto che anche la gravità ha proprietà quantistiche, allora l’effetto della meccanica quantistica sulla nozione di tempo diventa devastante. Nella relatività generale spariva il tempo “universale”, ma in fondo ogni oggetto che si muove aveva il suo tempo, simile al tempo Newtoniano: un po’ come il fatto che finché restiamo in Italia non dobbiamo preoccuparci di cambiare l’ora dell’orologio per via dei fusi orari.  Ma la meccanica quantistica ci dice che anche questo tempo “locale” non funziona del tutto. Il motivo è che con la meccanica quantistica abbiamo scoperto che tutte le quantità fisiche sono sempre “imprecise”, “fluttuanti”. Anche il tempo locale, a piccola scala, invece di essere come una linea semplice è come un segno che ha spessore e si frantuma in segnetti piccoli. Lo spazio e il tempo si frantumano in una specie di schiuma microscopica”.

Proprio alla luce di queste considerazioni nasce la teoria del loop quantum gravity, che sostiene oggi che il tempo non esista (ritornando così alle idee di Kant). “Perché il concetto di tempo, dopo che abbiamo capito che dipende dalle cose che accadono, che si mescola con lo spazio, che è soggetto alle fluttuazioni quantistiche eccetera, diventa qualcosa che non c’entra più con la nostra intuizione semplice di tempo, e tutto sommato diventa un concetto inutile. La teoria descrive come si muovono le cose una rispetto all’altra, e non c’è davvero bisogno di parlare di tempo. Dimenticando il tempo tutto diventa più semplice. È più facile capire come funziona il mondo a livello fondamentale”.

Clamoroso: il tempo non esiste. Questo non significa che non ci sia il tempo nella nostra vita quotidiana ma piuttosto che il tempo non sia un concetto utile quando si studiano le strutture più generali del mondo. Forse, dunque, il tempo corrisponde al nostro modo di vedere le cose e non fa più parte della struttura fondamentale dell'universo. Se così fosse, i fisici sostenitori della LQG si propongono di scrivere le equazioni fondamentali senza considerare il tempo. Si avrebbe dunque un’immagine del mondo, dove oggetti e fenomeni si muovono in modo anarchico senza che un tempo assoluto li scandisca e li ordini. Il nostro tempo non è altro che un'approssimazione delle tante variabili che succedono a livello microscopico.

Paradossalmente, sembra che l’Illuminismo abbia intuito a livello filosofico un importante concetto: il tempo è in realtà una coordinata meramente soggettiva. Crolla così il concetto di tempo assoluto e infinito della fisica Newtoniana.

Massimo Pauri, fisico e filosofo della fisica, sembra fornire la perfetta sintesi di queste idee, sostenendo che la fisica moderna abbia costantemente degradato il tempo nella sua storia: da ente assoluto e incorruttibile a mera illusione privo di ogni realtà fisica.

Oggi, infatti, il tempo non esiste.

"Tempo. Non c'è tempo. Sempre più in affanno inseguo il Nostro tempo. Vuoto di senso, senso di vuoto."

(Franco Battiato)

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