Fisica

Breve storia della Luce

Ne percepisci la presenza ogni giorno, maledici la sua natura che la mattina percuote la retina e non ti permette di continuare il tuo viaggio nel mondo dei sogni. Quando vuoi fare il figo e rimorchiare, sfoggi paroloni come "fotone" o "dualismo onda particella" e lì sì che crollano tutti ai tuoi piedi.

La luce, per diamine, è lei la protagonista di oggi.

La sua storia non è per nulla semplice e lineare, ma più avvincente di una soap. Non capisco perché a Donna Francisca nel "Segreto" venga dedicato uno spazio così ampio, che potrebbe ben essere investito nel raccontare la storia della luce (ma questo è un altro discorso).  La narrazione è lunga e il tempo breve, incominciamo:

"Nel principio Dio creò i cieli e la terra. La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. Dio disse: «Sia luce!» E luce fu.  Dio vide che la luce era buona; e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce «giorno» e le tenebre «notte». Fu sera, poi fu mattina: primo giorno."

Forse siamo andati un po’ troppo indietro nel tempo.

Saltellando fino ai tempi dell’antica Grecia, diverse furono le teorie per spiegare i meccanismi di visione. La teoria più originale forse è quella di Archita di Taranto secondo cui i nostri occhi emettono un qualcosa molto simile ad un fluido (un fuoco invisibile) che colpendo gli oggetti circostanti ritorna poi all'occhio.

Le teorie sviluppate nella Magna Grecia sono davvero infinite e particolareggiate, ma bisogna aspettare il periodo rinascimentale e del barocco per avere uno studio più raffinato e meno filosofico, anche se non sempre corretto, del fenomeno luce. Diversi sono i nomi da ricordare Kepler, Galileo, Snell, Cartesio, Fermat, Grimaldi, Huygens, Hooke, Romer, Newton.

Galileo fu uno dei primi a tentare un esperimento sulla misura della velocità della luce, sperando di riuscire a calcolarla registrando il tempo che la luce emessa da una lanterna a pochi Km di distanza, impiegava per raggiungere il suo occhio. Inutile dire che il risultato fu nullo a causa delle brevi distanze e dell’alta velocità della luce. Se, però Galileo, volendola misurare, considerava finita la velocità della luce per altri invece non era cosi, poiché assegnavano al fenomeno luminoso una propagazione istantanea.  Tra questi c’era Cartesio che implicava anche, come l’origine del colore fosse dovuta a rotazioni differenti delle particelle costituenti della luce.

Svolta incredibile. 1676.

L’astronomo danese Olaf Röemer provò sperimentalmente che la luce si propaga a velocità finita e ne fornì un primo valore. La determinazione di Röemer si basò sullo studio delle eclissi del satellite Io di Giove arrivando ad un valore pari a 210000 km/s mentre il valore attualmente accettato è di 299792,2 km/s. Una bella differenza, ma sempre un buon punto di partenza.

A questo punto un capitolo avvincente si apre nella storia. I due protagonisti sono Newton e Huygens.

Newton sviluppa una teoria corpuscolare della luce validissima per spiegare i fenomeni di rifrazione e riflessione di cui tanto si era occupato; associava inoltre la proprietà del colore dovuta alle differenti dimensioni dei corpuscoli di cui era composta la luce stessa. Newton si scontra con la teoria ondulatoria di Huygens secondo cui la luce è movimento capace di eccitare la visione. Huygens poneva come prova incontrastabile l'incontro tra due raggi di luce  che non costituivano alcun tipo di "disturbo" durante la loro unione. Ciò permetteva di concludere che la luce non potesse essere costituita da particelle. Sarebbe, piuttosto, dovuta essere vibrazione, allo stesso modo del suono.

Newton modificando parzialmente la sua teoria arriva ad affermare nel terzo volume dell’optiks:

“È difficile sapere se la luce sia un'emissione di corpuscoli o se sia solo un movimento astratto, una certa forza che si propaga da sé”

Mattacchione Newton aveva effettivamente concepito un primo embrione molto poco sviluppato, rozzo ed approssimato di una teoria in cui bisognava necessariamente tener conto della natura corpuscolare e di quella ondulatoria a seconda del fenomeno che si considerava... UNA TEORIA ONDA-PARTICELLA (Silenzio. Emozionati!)

Cavalcando sempre l’onda del tempo si passa attraverso i grandi studi e i clamorosi risultati di Young e Fresnel. Nota necessaria per Young, che studiò approfonditamente la luce arrivando ad enunciare il fenomeno dell’interferenza:

“Quando due parti di una stessa luce raggiungono l'occhio seguendo due diversi percorsi di direzioni molto vicine, l'intensità è massima quando la differenza dei cammini percorsi è un multiplo di una certa lunghezza; essa è minima per lo stato intermedio.”

Dai non è difficile da capire guarda un po’ qua.

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Se le due onde si sovrappongono con i picchi nella stessa posizione l’intensità sarà superiore a quella delle due onde di partenza, viceversa l’intensità risulterà diminuita o nulla. Per cui facendo infrangere in generale due onde in diversi punti dello spazio saranno presenti interferenze più o meno costruttive che genereranno la strabiliante figura d’interferenza.

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Tienila bene a mente ci servirà nella prossima puntata.

Come ben vedi per spiegare questo fenomeno è necessario ipotizzare la natura ondulatoria della luce, da questo momento in poi, per svariati decenni gli esperimenti svolti sembrano riportare a questa conclusione. La teoria corpuscolare Newtoniana viene progressivamente abbandonata.

E’ giusto soffermarci un po’ più al lungo nell’anno 1862, in cui Jean Bernard Léon Foucault tramite l’esperimento degli specchi rotanti attuò una nuova misura della velocità della luce.

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L’esperienza è semplice e forse è in questo che consiste la genialità del tutto.  Una sorgente luminosa emette un raggio che tramite uno specchio semi-riflettente viene diviso in due. Il primo raggio arriva ad un osservatore. Il secondo invece attraversando lenti di focalizzazione arriva ad un secondo specchio, posto in rotazione, il quale riflette il raggio che arriva in c e nuovamente riflesso ripercorre il percorso a ritroso fino a giungere nuovamente all’osservatore.

Appena arrivato in P il raggio viene appunto riflesso verso lo specchio C, ma nel frattempo lo specchio P ruoterà di un determinato angolo. Il tempo impiegato per il raggio per percorrere la distanza PC che definiremo D e ritornate allo specchio P sarà data da

t=2D/c

Con c la velocità della luce da determinare. Conoscendo inoltre la velocità di rotazione dell’angolo da cui è possibile ricavare il periodo di rotazione è possibile imporre una generica proporzione tra angolo descritto e tempo, considerando che in un tempo pari al periodo di rotazione T lo specchio avrà compiuto un giro completo pari a 2 π.

2π : T = ω : t => t = ωT/2π

Dove in questo caso ω rappresenta un generico angolo di rotazione e t il tempo necessario per compiere l'angolo descritto. Unendo le relazioni:

c = 2D/t = 4πD/ωT

Calcolando a questo punto l’angolo in funzione dello scostamento del raggio da s a s’, si hanno tutti gli ingredienti per poter calcolare la velocità della luce. La cosa affascinante di tutto ciò è che i dati necessari sono unicamente parametri strumentali facilmente ricavabili.

Bravo Foucault!

Tramite questo giochino calcolò una velocità pari a 298000km/s poco distante dal valore reale.

Ripetendo lo stesso esperimento ma facendo attraversare al raggio luminoso un tubo contenente acqua Foucault misurò in questo caso c pari a ~ 223000 Km/sec.

Questo fu l’experimentum crucis che dimostrò come la teoria corpuscolare di Newton dovesse essere abbandonata. Se fosse stata valida la luce avrebbe dovuto propagarsi più rapidamente in mezzi con indice di rifrazione (proporzionale alla densità del mezzo) maggiori.

Se anche tu vuoi far vibrare la tua anima cercando di misurare la velocità della luce, poiché lo strumento a specchio rotante potrebbe essere di non troppa facile costruzione prova con il forno a microonde.

Solo due anni dopo, nel 1864, vennero pubblicate le memorie di Maxwell: A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field.  Questo lavoro contiene tutti i principali risultati, precedentemente ottenuti e rappresenta la prima formulazione completa, dal punto di vista analitico, della teoria del campo elettromagnetico e della teoria elettromagnetica della luce.  Un piccolo elogio a Maxwell oltre che necessario è dovuto. Maxwell arriva a credere che la luce sia un’onda elettromagnetica confrontando le formulazioni ottenute in cui spesso era presente come costante proprio la velocità della luce. E’ grazie a quest’immenso uomo che luce, elettricità e magnetismo diventano non altro che diverse facce di una stessa medaglia: l’elettromagnetismo. Qualche anno dopo affermò:

"Il fatto che i risultati concordino sembra mostrare che la luce e il magnetismo siano fenomeni della stessa sostanza e che la luce è un disturbo elettromagnetico propagato attraverso il campo in accordo alle leggi elettromagnetiche."

La sostanza a cui Maxwell fa riferimento è l’etere. Sebbene nelle equazioni da lui formulate non sia in nessun modo presente un qualche valore che rimandi alla necessità dell’etere, la teoria richiede necessariamente un mezzo meccanico per permettere la trasmissione dell’onda stessa. La teoria ipotizza infatti che l’energia elettrica non sia altro che energia potenziale meccanica e che l’energia magnetica sia energia cinetica di natura meccanica.

Anche se non ancora citato l’etere rappresenta questa sostanza che si ritrova in tutte le teorie citate fino ad ora.

Ipotizzato inizialmente da Aristotele nel 380 a.C. per riempire gli spazi interplanetari, successivamente per Newton doveva essere della medesima costituzione dell'aria ma più rarefatto, sottile, elastico e con caratteristiche di non uniformità.  Inoltre era necessario ipotizzare che fosse abbastanza sottile da sfuggire all'aspirazione della pompa da vuoto, poiché si era effettivamente sperimentato nel 1660 come la luce propagasse anche nel vuoto. Oltre che uniformemente molto elastico, l’etere doveva presentare elevatissima durezza per permettere le elevate velocità della luce.

Secondo Born:

"L’etere astronomico, molto distante dai corpi materiali, è, in ogni sistema inerziale, in uno stato di quiete. Se così non fosse, alcune parti dell'etere sarebbero accelerate, e dovremmo pensare all'esistenza di forze centrifughe tali da produrre variazioni di densità ed elasticità; le nostre osservazioni sulla luce proveniente dalle stelle non ci danno però alcuna indicazione in questo senso."

Per spiegare alcuni fenomeni Fresnel aggiunse l’ipotesi del trascinamento parziale dell'etere supponendo che fosse trascinato dal moto della Terra ed in generale dal moto di oggetti massivi.

Di conseguenza la velocità della luce nell'etere in riposo dovrebbe essere differente da quella dell'etere trascinato

"Precisamente come la velocità di un'onda sonora differisce secondo che l'aria è calma o che tira vento."

Siamo arrivati al concetto di etere, continuare ora significherebbe raddoppiare le pagine dell’articolo.

Medita Billy, medita.

Perché la storia continua e presto ne riparleremo arrivando all’esperimento che più di tutti ha sconvolto me, la fisica classica e un po’ tutto il mondo accademico dell’epoca, non ti anticipo nient’altro. Tieni pero bene in mente che l’esperimento è talmente importante da essere definito dallo stesso Stephen Hawking:

"Uno degli errori più importanti nella storia della fisica"

Parte 2 

Lunga vita a Michelson… oddio ma è già morto!

Erigete statue d’oro in suo nome, osannatelo con canti di gloria, colmate i suoi discendenti di pietre preziose e gioielli, elevate mausolei che ricordino all’infinito il suo nome e fate in modo che per mezzo dell’eco le sue gesta arrivino alle orecchie di ogni abitante della terra.

Tranquillone Billy, non ci siamo convertiti a nessun nuovo credo. La vita è sempre la stessa di sempre. La mattina mi sveglio bacio il cartonato dimensioni reali di Newton, che veglia su di me durante la notte, ripasso in mente il buon vecchio metodo sperimentale e mi dirigo in bagno. A seconda del giorno della settimana rievoco gli spiriti dei grandi: Aristotele, Feynman, Coulomb, Sant’Agostino, Heisenberg… e ogni tanto immagino che accanto a me ci sia Piero Angela a stringermi la mano (ma non entriamo nella mia vita privata).

Stamattina, l’apparizione, anzi per meglio dire l’illuminazione (presto capirai il perché)Albert Abraham Michelson.

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Ma Chi è costui?

Anagraficamente:

Nacque in una famiglia di origini ebraiche, figlio di Samuel Michelson e di Rozalia Przylubski. Lasciò la nativa Prussia con i suoi genitori nel 1855. Visse prima a New York poi a Virginia city e quindi a San Francisco, dove la sua famiglia prosperò come famiglia di mercanti.

A 17 anni entrò gratuitamente grazie all'interessamento del presidente Ulysses Grant nell'Accademia Navale degli Stati Uniti (…).

Primo scienziato americano a ricevere il Nobel per la fisica nel 1907 e bla bla bla…

Billy, non periamoci in fronzoli per favore; corriamo più veloci del vento ed addentriamoci nelle viscere di costui (non in senso letterale). Caspita! Certo dovremmo star un po’ attenti a non superare la velocità della luce…

Acciderbolina LA LUCE. Quest’uomo forse è colui che più ha a che fare con il concetto di luce, così come lo conosciamo oggi. D’altronde se una delle sue biografie è intitolata “Master of Light: A Biography of Albert A. Michelson” non ci si poteva aspettare altro.

Nella parte precedente abbiamo ripercorso le teorie che si sono succedute fino ad arrivare a questo punto, per cui vai a fare un ripasso.

Michelson era un ufficiale di marina e si sa, quando sei su una nave, hai molto tempo libero: qualcosa devi pur fare!

Egli ripete l’esperimento di Foucault con strumentazioni più avanzate raggiungendo il valore di 299.910±50 km/s  per la velocità della luce, incredibilmente vicino a quello reale. Ma non siamo qui per ripassare pedissequamente i valori della velocità misurati nei vari anni.

Pochi anni prima, intorno al 1880, il fisico ufficiale di marina costruì uno strumento di cui ancora se ne studiano gli effetti. Ricordi quanto poco tempo è passato alla scoperta delle onde gravitazionali?

Lo strumento utilizzato per individuarle non è altro che l’interferometro di Michelson.

Se già andrebbe ricordato unicamente per questo, in realtà, lo strumento ha comportato un'altra grande rivoluzione nella fisica qualche secolo prima. Leggi Billy, presto capirai a cosa mi riferisco.

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L’interferometro è uno strumento caratterizzato da una sorgente luminosa che invia un fascio luminoso su uno specchio semiriflettente. Il raggio si  si divide in due fasci mutualmente ortogonali per poi incidere e riflettere su  due specchi.  Tornando sullo specchio semiriflettente i due fasci si ricombinano arrivando fino al rilevatore.

I due bracci hanno medesima misura per cui il percorso svolto sarà identico.

So che ben conosci tutti i fenomeni legati alla luce ed alla sua natura ondulatoria ma in questo momento ti serve tirar fuori il concetto d’interferenza. Ne abbiamo parlato nella prima parte ricordando Young. Le onde, a causa della loro ricombinazione, genereranno una figura d’interferenza visualizzabile sul rivelatore.

La prima volta in cui viene svolto l’esperimento è il 1881, l’universo, la conoscenza e la fisica sono permeate dall’etere: sostanza un po’ misteriosa "necessaria" per permettere la propagazione della luce nel vuoto.

Qui arriva il bello.

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La terra muovendosi in questo universo permeato da etere statico genererà uno spostamento dello stesso in direzione opposta al suo moto in orbita attorno al sole. Un po’ come quando sprezzante del pericolo in sella al tuo biciclo a pedali senti l’aria investirti in maniera più o meno piacevole.

Ritornando all’interferometro.  Essendo i bracci ortogonali solo uno dei due risentirà del vento d’etere: unicamente il braccio parallelo alla direzione di moto. Naturalmente in maniera diversa a seconda della sua orientazione in direzione coincidente o opposta alla direzione di propagazione della terra.

È il XIX secolo e la sacrosanta scienza perfetta ancora è la meccanica classica. Per capire cosa avviene, o meglio cosa dovrebbe avvenire serve la relatività galileiana. Questa si basa sul concetto d’invarianza delle leggi della fisica in tutti i sistemi inerziali. Per farla semplice: che io sia fermo, cammini a velocità costante o metta una telecamera su una pallina che con velocità costante si muove in una determinata direzione, potremo utilizzare le stesse formule per calcolare quelle che sono le varie grandezze . Ti sembrerà una banalità, ma non è mica poco. Infatti nessun esperimento potrà permettere di distinguere due differenti sistemi inerziali. Una della conseguenze di questo principio è la composizione delle velocità, che esposto in maniera brutalmente approssimata implica una somma vettoriale delle velocità in sistemi diversi ed inerziali.

Essendo l’etere il mezzo di propagazione del nostro raggio luminoso, sarà necessario considerare che il braccio posto in direzione parallela al moto della terra avrà una velocità di propagazione della luce che dovrà sommarsi (o sottrarsi) a quella che è la velocità del vento d’etere. Giuro, non è troppo difficile come credi. Billy, tu sei la luce e ti stai muovendo alla tua fantastica velocità. Se ora poniamo sotto i tuoi piedi una zattera idealmente infinita che a sua volta si muove con una determinata velocità, io dal mio punto di vista, seduto sulla riva a sorseggiare un mojito, guardandoti, avrò la certezza che tu ti stia muovendo con velocità pari alla somma della tua velocità e a quella della zattera (ecco stuprato nuovamente il principio di relatività galileiana, spero tu sia riuscito a cogliere il concetto).

Nell’interferometro, quindi, il raggio verde si muoverà più o meno rapidamente rispetto al raggio blu. Ciò porterà un unico raggio a percorrere la distanza, che ti ricordo essere nei due casi uguale, in tempi maggiori o minori. Nel momento in cui le due onde si ricombineranno sullo specchio semi- riflettente sul rilevatore sarà possibile visualizzare una figura d’interferenza.

A questo punto ruotando di 90° l’interferometro i ruoli saranno invertiti. Sarà il fascio inizialmente ortogonale al moto della terra a risentire delle influenza del vento d’etere in maniera opposta al caso iniziale. Per cui, se inizialmente il fascio parallelo alla direzione del moto terrestre risultava ritardato, in questo caso sarà più veloce rispetto al raggio in direzione ortogonale. Nuovamente al termine del percorso sul rivelatore sarà visualizzabile una figura d’interferenza, che sarà necessariamente diversa dalla precedente. Svolgere due misure con orientazioni degli assi ruotate di 90° e calcolando la differenza temporale tra i percorsi ottenuti nei due casi,  permette di eliminare gli errori di misura che potrebbero derivare delle minime differenze nelle lunghezze dei diversi bracci.

Questo è quello che dovrebbe accadere ((Animazione ottenuta dal simulatore al link)) :

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La stessa esperienza può essere svolta svolgendo la misura, con l‘interferometro fermo nella medesima posizione, con una ripetizione ogni sei mesi. La Terra in questo intervallo di tempo percorrerà una distanza tale da trovarsi nella direzione opposta della sua orbita, generando un vento d’etere con direzione opposta rispetto a quello percepito sei mesi prima. Inizialmente i raggi risentiranno di una velocità maggiore (poiché bisognerà sommare quella dell’etere) e nei sei mesi successivi risentirà invece una velocità diminuita o viceversa a seconda dell'orientazione dei bracci

Per amor di verità è necessario precisare che l’idea iniziale di utilizzare l’interferenza in modalità analoghe a quelle dell’interferometro di Michelson era venuta al grande Maxwell, il quale abbandonò l’idea di un esperimento perché credette di non poter raggiungere una precisione sufficiente.

L’esperimento non funziona. Ogni misura, che sia svolta di giorno o di notte, in primavera o in autunno, con la luna piena o meno restituisce SEMPRE la stessa misura dando come risultato una figura d’interferenza sempre uguale a se stessa, e non diversa a seconda dell'orientazione dei bracci come ci si sarebbe aspettato.

Per Michelson la soluzione è davvero semplice: quei maledetti cavalli che con il loro trottare facevano risuonare il suono sei loro zoccoli fino a dentro le pareti del laboratorio. Le vibrazioni avranno sicuramente portato ad un risultato sbagliato nell’esperimento. D’altronde lo spostamento delle frange d’interferenza tra un esperimento e l’altro doveva essere unicamente di 0,04 della dimensione di una frangia.

Depresso e abbattuto abbandona l’esperimento fino al 1887 fino a quando, successivamente ad un’alleanza intellettuale con Morley, decide di ripetere la misura. Questa volta per evitare che le vibrazioni possano portare ad errori di misura, lo strumento viene costruito al di sopra di un blocco di cemento il quale viene fatto galleggiare al di sopra di una pozza di mercurio. Questo, oltre ad eliminare tutte le vibrazioni, permette una rotazione semplice.

Anche questa volta niente. Le frange d’interferenza non si spostano nemmeno supplicando i santi in paradiso.

O l’esperimento è sbagliato, o c’è qualcosa che non funziona troppo bene nella fisica utilizzata.

L’uomo è conservatore e trasformazioni repentine e drastiche non piacciono a nessuno: per questo motivo la maggior parte delle persone nella comunità scientifica dell’epoca asserì che l’esperimento fosse sbagliato ed alcuni si rifiutarono persino di ripeterlo per confermare ciò che Michelson e Morley avevano ottenuto.

Nonostante tutto vennero proposte tre diverse soluzioni al problema.

1. Trascinamento dell’etere

Se come aveva ipotizzato inizialmente Fresnel l’etere fosse trascinato da corpi massivi come la terra era del tutto inutile ricorrere alla relatività galileiana, poiché l’etere in moto solidale con la terra non avrebbe generato "vento" e di conseguenza non avrebbe comportato un aumento o una diminuzione della velocità della luce a seconda del percorso considerato.

Questa ipotesi era però già stata smentita più di un secolo prima da James Bradley, il quale studiò l’aberrazione stellare. Il fenomeno comporta uno spostamento apparente delle stelle sulla volta celeste a causa del moto di rivoluzione intorno al sole della terra.

A causa dell’aberrazione è necessario per cui disporre i telescopi con un angolo (chiamato appunto di aberrazione) e non in direzione della stella da voler osservare. Ora ti faccio capire:

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Per poter osservare la stella è necessario che i raggi luminosi colpiscano sia l’obiettivo che l’oculare. Sapendo che la Terra si muove, lasciando il cannocchiale orientato sulla stella, il raggio attraverserebbe l’obiettivo. Nel frattempo, però, la Terra si sarebbe mossa e con essa anche il cannocchiale, per cui la luce non sarebbe riuscita ad attraversare anche l’oculare e non sarebbe dunque possibile osservarla. La posizione corretta per il cannocchiale sarà dunque quella (b)

Cosa c’entra tutto ciò con l’etere?

In presenza di un mezzo etereo trascinato dalla Terra nel suo moto, non sarebbe più possibile osservare il fenomeno dell’aberrazione. Per guardare una stella fissa, non si dovrebbe inclinare il telescopio, ma puntarlo lungo la direzione della stella, in quanto l’etere e dunque ogni fascio luminoso seguirebbe la Terra riuscendo a colpire sia l'obiettivo che l'oculare.

Per cui per mezzo di questa esperienza l’etere potrà pure esistere ma sicuramente non è trascinato dal moto terrestre.

2. Contrazione di Fitzgerald-Lorentz

Entrambi giunsero alla medesima conclusione indipendentemente. Fortemente convinti dell’esistenza dell’etere, ricavarono analiticamente una formulazione per la contrazione delle lunghezze. Secondo queste equazioni  si sarebbe potuto avere la diminuzione della dimensione di un unico braccio, quello con direzione parallela al moto terrestre, che avrebbe compensato gli effetti del vento d’etere.

Lorentz ricava anche una formulazione per la “dilatazione” del tempo e sviluppa una teoria per cui il moto dell'etere avrebbe dovuto indurre distorsioni nella realtà fisica percepita, per cui le trasformazioni di Galileo sarebbero dovute essere modificate.

3. Velocità della luce costante (squilli di trombe)

E’ l’interpretazione che più rivoluzionerà la conoscenza del mondo. Albert Eistein ribalta completamente il punto di vista di Lorentz facendo nascere la crisi della fisica classica. Abbandona infatti completamente il concetto di etere abbracciando la nozione secondo cui un ente che non è osservabile non ha diritto all'esistenza.

Sebbene la teoria di Lorentz debba essere abbandonata poiché richiede una rappresentazione della materia un po’ troppo forzata, Einstein riprende le trasformazioni di Lorentz sostituendole a quelle di Galileo. La velocità della luce diventa una costante universale indipendente dallo stato di moto dell'osservatore. Le contrazioni delle lunghezze e la dilatazione dei tempi diventano parte essenziale della geometria dello spazio-tempo di Minkowsky.

Nasce la teoria della relatività

Ora ben capisci perché ero, all’inizio dell’articolo, in un brodo di giuggiole quando ti introducevo il magnifico Michelson. Oltre che per l’ideazione e la realizzazione del grande esperimento l’esperienza dell'immenso fisico può essere considerata un imponente insegnamento di vita.

Michelson muore infatti con l’amarezza di non aver capito perché l’esperimento non portava ai risultati sperati: ciò insegna che spesso un fallimento non è solo ciò che sembra, ma può essere visto come un immenso successo unicamente cambiando punto d’osservazione.

Ma la luce è ancora totalmente un'onda! E i fotoni quando arrivano?

Parte 3

 È stata dura. Ci siamo districati tra varie teorie nella prima parte per poi passare  alla grande rivoluzione causata dall’esperimento di Michelson nella seconda parte.

Ipotizzare e credere che  la luce sia un’onda e possa essere trasmessa nel vuoto è davvero difficile, ma caspiterina l’evidenza sperimentale lo suggerisce; e tu Billy non sei altro che un misero servitore del metodo sperimentale, mica Dio! Non puoi contraddire ciò che un esperimento "mette in luce"!

Ormai l’etere è stato debellato, la velocità della luce è una costante universale, ma la storia non è ancora terminata. Ci siamo infatti fermati al XIX secolo senza considerare il fermento intellettuale degli anni immediatamente successivi.

Tre sono le esperienze che ci accompagneranno stravolgendo la nostra concezione di luce. Le porte del XX secolo si sono aperte e Max Plank si impegna per creare una teoria valida a spiegare un qualcosa di strano, notato qualche anno prima.

C’era una volta… Nel 1862, Gustav Kirchhoff, lo stesso delle leggi alle maglie e ai nodi per intenderci,  che introdusse il concetto ed il termine di corpo nero (e ti assicuro che non faceva riferimento al nulla oscuro nella testa di qualcuno).

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Il corpo nero rappresenta un oggetto ideale, capace di assorbire la totalità della radiazione su di esso incidente.
Ecchediamine vuol dire?
Ennientedispeciale!
Assorbendo tutta la luce non riusciresti nemmeno a vederlo. Non esiste nulla in natura capace di fare questo, mentre sperimentalmente si può costruire una cavità con le pareti interne annerite con nero fumo (sostanza in grado di assorbire il 97% della radiazione incidente) che presenta un solo piccolo foro. La radiazione incidente entra nel foro, e ha pochissime possibilità di uscita: gran parte viene assorbita subito, mentre la parte rimanente viene più volte riflessa fino ad essere assorbita anch'essa. Solo una percentuale trascurabile di radiazione riesce ad uscire.

Devi sapere, inoltre, che tutti gli oggetti che si trovano ad una temperatura superiore allo zero assoluto ( 0 K) emettono energia per mezzo dell’irraggiamento. I raggi emessi dipenderanno dalle caratteristiche chimiche e fisiche dell’oggetto stesso. Introduciamo, allora una nuova grandezza chiamata emissività che rappresenterà l’energia emessa per unità di tempo, unità di superficie ed intervallo di frequenze emesse. L’emissività sarà quindi funzione della temperatura, della frequenza e della geometria dell’oggetto.

Nel caso particolare del corpo nero, la nuova misteriosa grandezza fisica risulta essere del tutto indipendente dalla geometria dell’oggetto.

Billy, caspita sono già passate più di 400 parole (dai su, vai a contare) e ancora nemmeno una formula, dove sono le espressioni matematiche?

Hai ragione.

Per descrivere i dati sperimentalmente ottenuti per l’emissività si utilizzano due leggi empiriche. La prima quella di Stefan-Boltzmann (dal nome di Josef Stefan, che la scoprì sperimentalmente, e da quello del fisico Ludwing Boltzmann, che la formalizzò matematicamente):

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Dove I indica appunto l’emissività, σ è una costante e T invece è la temperatura.
La vedi Billy? intendo quella cazzarola di temperatura elevata alla potenza quarta. Sai cosa vuol dire? Che se aumenti la temperatura  le curve dell’emmissività crescono veloci come una lippa ( se non sai cosa sia non abbiamo avuto lo stesso professore di chimica e Wikipedia puo aiutarti). Guarda il grafico e medita.

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La seconda legge è invece quella di Wien visualizzabile  sempre nel grafico precedente.
Aumentando la temperatura, si ha uno "spostamento" del picco della distribuzione spettrale verso sinistra. Ciò significa che per temperature crescenti  la radiazione, ha una densità di frequenze emesse via via più alta. (K costante)

ʎmaxT= K

Per mezzo di concetti di meccanica classica, Rayleigh e Jeans furono i primi  a svolgere i calcoli per ottenere  una modellizzazione analitica del corpo nero.
Partendo dalla probabilità classica di Maxwell-Boltzmann e dal teorema di equipartizione dell'energia (che avrà anche un gran bel nome, ma implica solamente che per ogni grado di libertà che compone un generico moto, esiste un contributo di energia pari a ½ KBT o  ½ RT ((Con Ke R rispettivamente costante di Boltzmann e costante cinetica dei gas))), essendo il campo elettromagnetico (di cui è composta la radiazione) formato da due componenti, una elettrica ed una magnetica, il contributo energetico medio sarà pari a KT (ma che te lo dico a fare, probabilmente queste cose le sai già).

Svolgendo i calcoli i due fisici  arrivarono a determinare l’energia associata ad ogni frequenza emessa pari a:

ρ= 8ΠKT/ʎ4

La formulazione ha un andamento rappresentato dal seguente grafico:

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La curva ricalca bene quello che è l’andamento per basse frequenze, cioè per alte lunghezze d’onda, fino alla regione delle radiazioni ultraviolette. Ma, oltrepassata questa regione, le curve non corrispondono più. Dai lo capisce anche una scimmia urlatrice che la curva qui sotto non è uguale a quella del grafico precedente. È per questo motivo che si parla di catastrofe ultravioletta.

Se l’andamento NON ricalca i risultati sperimentali, che si fa?

Si può pensare di uccidere tutti coloro vadano contro il tuo modello teorico ma, se credi  in una vita ultraterrena, forse è meglio fare il bravo e costruire un modello in modo tale che rispetti  tutti i dati, creando magari una nuova teoria.

Se ancora non sei convinto che la modellizzazione di Rayleigh e Jeans possa essere non valida, ti do un’ulteriore conferma. L’area sottesa alla curva, che indica l’energia interna al corpo nero, sarebbe infinita e non è troppo difficile capire che un'energia “infinita” non è possibile, a meno che tu non sia Dio, ma questa cosa l’abbiamo esclusa già prima.

È Planck il nostro eroe. Tramite un’ipotesi del tutto teorica,  l’energia diventa una variabile discreta e quantizzata, data dalla formula E= n(hν), dove hν rappresenta l’energia della singola componente della radiazione che viene battezzata con il nome di fotone, n rappresenta il numero di fotoni componenti la radiazione, h la costante di Planck e ν la frequenza dell’onda.

Ripetendo i calcoli con questa nuova concezione di energia tutto torna.

Non abbiamo ancora terminato però, mancano infatti altre due esperienze da ripercorrere per essere certi che la luce abbia, oltre alla natura ondulatoria, un'energia discreta a causa della sua composizione corpuscolare.

Lo stesso anno dell’esperimento di Michelson e Morley, ( ne abbiamo parlato nella parte precedente) il 1887, Hertz scoprì lo scoppiettante fenomeno dell’effetto fotoelettrico: irradiando un campione con una radiazione elettromagnetica, si nota che in determinate condizioni può avvenire emissione di elettroni. Osservando questo fenomeno si possono trarre alcune semplici conclusioni:

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  1. Per ogni campione metallico si può definire un valore soglia di frequenza. Solo irradiando con frequenze superiori al valore soglia sarà possibile ottenere emissione elettronica.
  2. Aumentare l’intensità con cui il campione viene irradiato permette una maggiore emissione di elettroni solo se si è superata la frequenza soglia
  3. L’energia con cui l’elettrone è emesso è dipendente dalla frequenza dell’onda incidente
  4. Il numero di elettroni dipende dall’intensità.

Eccoci nel 1905, l’anno mirabilis per il mitico baffone Einstein.

Einstein vinse il Nobel proprio spiegando l'effetto fotoelettrico, ipotizzando che i raggi luminosi trasportassero dei fotoni, con energia direttamente proporzionale alla frequenza dell’onda tramite la relazione E= hν.

Il merito fondamentale di Einstein fu quello di estendere il concetto di “quanto” di energia, formulato da Planck cinque anni prima, non solo ai fenomeni di assorbimento ed emissione di energia, ma anche alla radiazione elettromagnetica. La luce quindi è composta da un insieme di quanti di energia.

Perdincibacco!

La dipendenza dell'emissione del fotoelettrone, rispetto alla frequenza della radiazione, si spiega col fatto che solo per valori di frequenza superiori a quello individuato, il fotone avrà un'energia pari o superiore al lavoro per l’estrazione degli elettroni dal metallo.  Aspetta, la facciamo più semplice. Il fotone arriva, ed è lieto di trasferire tutta la sua energia ad un elettrone, ma si sa, l’elettrone in un metallo gioisce con i diversi atomi e difficilmente vorrebbe separarsi da essi, solo se il fotone dà lui una ragione di vita valida per scappare dalle felicità che solo un atomo può dargli, allora fuggirà alla scoperta di un nuovo mondo. E’ come per te, il lunedì mattina, il letto ed il caffè… dai ci siamo capiti.

Il fotone cederà energia all’elettrone che potrà fuggire dal metallo.

Si può spiegare la dipendenza del numero di elettroni, emessi dall'intensità della radiazione incidente, considerando semplicemente che  una maggiore intensità significa un maggior numero di fotoni e quindi di elettroni estratti.

Einstein giunse anche a spiegare la dipendenza dell'energia cinetica rispetto la frequenza della radiazione incidente, considerando che l'energia del fotone in eccesso rispetto al lavoro di estrazione venga comunque ceduta all'elettrone,  e si  convertirà nella sua energia cinetica.
Questo può essere espresso per mezzo dell’Equazione di Einstein:

Ecinetica = Efotone − (Lavoro di estrazione)

Riprendiamo la storia di te, del lunedì e del caffè. Il caffè ti darà una determinata energia  che ti è necessaria per trascinarti fuori dal letto. Ma se il caffè riuscirà a trasferirti  dell'energia anche maggiore, quella in eccesso potrai utilizzarla come preferisci. A te magari serve per avere la forza di andare a lezione, all’elettrone piace più trasformarla in velocità e quindi in energia cinetica.

Non stramazzare a terra Billy, siamo quasi al termine. Nuovo giro, nuova corsa. Ultimo esperimento da ricordare: Diffusione Compton.

Nel 1923 il fisico statunitense notò che, irradiando con un fascio collimato di fotoni appartenenti allo spettro dei Raggi X un campione di grafite, oltre alla luce diffusa con frequenza identica a quella con cui il campione era stato irraggiato ( detta diffusione elastica), era presente un'ulteriore componente diffusa con frequenza diversa. Questo secondo tipo di diffusione, detto anche scattering Compton, risulta del tutto indipendente dalla radiazione incidente.

Cattura

Il fenomeno può essere spiegato tramite una visione relativistica, ipotizzando che la luce sia composta da fotoni ed impostando una conservazione di energia e quantità di moto, come se avvenisse un semplice urto tra due particelle, in cui il fotone presenta una massa nulla ed un energia pari ad E=pc (p quantità di moto e c velocità della luce). Svolgendo i vari calcoli, si arriva ad una formula che esprime la variazione di lunghezza d’onda diffusa rispetto a quella della radiazione incidente.

ScreenShot_20160611175451

ʎc rappresenta una costante chiamata lunghezza d’onda compton e pari a 2,43 · 10−12 m,
ᵠ l’angolo d’osservazione rispetto la direzione del raggio d’incidenza,
ʎè la lunghezza d’onda del fascio incidente,
ʎ la lunghezza d’onda diffusa.

Compton spiega concetti astrusi per mezzo di urti tra palle. Vedi, c’è anche chi riesce a fare qualcosa di positivo, oltre che romperle.

Sono questi i tre esperimenti che misero in evidenza la necessità di conferire alla luce una natura corpuscolare, tornando a quello che era stato un lampo di genio newtoniano.

E' così che nasce la meccanica quantistica!

Il percorso è stato intenso e non privo d'intoppi, ma ce l'abbiamo fatta. Siamo ahimè giunti al termine di questo viaggio nella breve storia della luce. A presto!

Orietur in tenebris lux tua.

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